Siti petroliferi del Golfo sotto minaccia di guerra

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Petrolio nei Paesi del GolfoPetrolio nei Paesi del GolfoRiad: Gli stati del Golfo si stanno affrettando per proteggere le proprie infrastrutture petrolifere in mezzo alle crescenti tensioni tra Israele e Iran. Mentre Israele considera una ritorsione contro gli impianti iraniani dopo un attacco missilistico, i paesi del Golfo, i principali produttori di energia, temono che i propri siti petroliferi possano diventare obiettivi in ​​caso di escalation.

Per evitare questo scenario, stanno esercitando pressioni su Washington affinché freni qualsiasi azione israeliana che possa portare ad una risposta iraniana, secondo fonti vicine ai governi della regione.

Questi stati, tra cui l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e il Qatar, si rifiutano anche di consentire a Israele di utilizzare il loro spazio aereo per un attacco, temendo che ciò li metterebbe nel mezzo di un conflitto petrolifero con ripercussioni globali. “Gli Stati del Golfo non vogliono trovarsi nel fuoco incrociato”, ha spiegato un diplomatico della regione.

Lo spettro di una crisi petrolifera globale

L’importanza delle infrastrutture petrolifere del Golfo sulla scena globale non può essere sottovalutata. L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), guidata di fatto dall’Arabia Saudita, svolge un ruolo chiave nella regolazione dei flussi di petrolio, con capacità di riserva per compensare eventuali perdite nelle forniture iraniane.

Tuttavia, un attacco agli impianti petroliferi degli Stati del Golfo, in particolare quelli in Arabia Saudita o negli Emirati Arabi Uniti, potrebbe compromettere seriamente le forniture energetiche globali.

I ricordi di l’attacco del 2019 ad Aramco, che ha temporaneamente ridotto l’offerta globale del 5%sono ancora vivi nella regione. Sebbene l’Iran abbia negato il suo coinvolgimento, l’attacco ha messo in luce la vulnerabilità degli impianti energetici del Golfo e ha accresciuto i timori di un’escalation delle tensioni nel settore petrolifero.

Ali Shihabi, analista saudita, ha sottolineato: “Se gli Stati del Golfo permettessero a Israele di utilizzare il loro spazio aereo, ciò sarebbe considerato dall’Iran un atto di guerra. » La minaccia è chiara: Teheran ha avvertito che qualsiasi coinvolgimento dei paesi del Golfo in un attacco israeliano provocherebbe ritorsioni contro le loro infrastrutture, cruciali per l’economia globale.

Gli Stati del Golfo sulla difensiva

I timori che i loro siti petroliferi diventino obiettivi hanno spinto i leader del Golfo a intensificare i colloqui diplomatici. L’Iran, cercando di evitare attacchi israeliani contro le proprie strutture, ha condotto un’offensiva diplomatica per convincere gli stati del Golfo a fare pressione su Washington ed evitare qualsiasi escalation. Durante un incontro con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi ha avvertito Riad di un possibile attacco alle sue infrastrutture se Israele dovesse colpire l’Iran. L’Arabia Saudita, nonostante il suo riavvicinamento a Teheran, rimane sospettosa, in particolare a causa dei precedenti attacchi contro i suoi giacimenti petroliferi.

Il regno, il principale esportatore mondiale di petrolio, così come i suoi vicini del Golfo, hanno tutto l’interesse a mantenere la stabilità nella regione, sia per preservare le proprie infrastrutture sia per evitare un’impennata dei prezzi del petrolio.

Un aumento dei prezzi 120 dollari il barile, come menzionato dagli analisti, potrebbe avere conseguenze economiche importanti, in particolare per gli Stati Uniti, dove l’economia e la politica interna verrebbero influenzate direttamente nel periodo che precede le elezioni presidenziali.

Rischi di gravi perturbazioni per il mercato petrolifero

Le infrastrutture petrolifere del Golfo sono particolarmente vulnerabili a causa della sua vicinanza all’Iran e delle tensioni storiche tra i due campi. Nonostante la presenza di sistemi di difesa avanzati, come i missili Patriot, proteggere ciascun sito petrolifero rimane una sfida considerevole.

Gli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, erano già stati presi di mira nel 2022 quando gli Houthi dello Yemen, sostenuti dall’Iran, attaccarono le infrastrutture appartenenti all’ADNOC, la compagnia petrolifera nazionale.

Analisti sottolineano che anche se Israele optasse per un attacco contro gli impianti petroliferi iraniani, le ripercussioni sarebbero globali e colpirebbero non solo le forniture energetiche del Golfo, ma anche quelle della Cina, il principale cliente dell’Iran.

Una delle fonti del Golfo ha aggiunto che “gli Stati Uniti non possono permettersi una guerra petrolifera che spingerebbe i prezzi a nuovi livelli”, soprattutto con l’avvicinarsi di importanti scadenze politiche.

Una diplomazia di ultima istanza

Di fronte a questi rischi, la diplomazia resta la principale leva a disposizione dei Paesi del Golfo per disinnescare la situazione. Cercano di convincere l’Iran che non rappresentano una minaccia diretta, cercando allo stesso tempo di frenare le ambizioni israeliane. Bernard Haykel, professore a Princeton, ha sottolineato che “l’Arabia Saudita è particolarmente vulnerabile a causa della vicinanza dei suoi impianti petroliferi all’Iran”.

In sintesi, le attuali tensioni tra Israele e Iran pongono gli Stati del Golfo in una posizione delicata, dove la protezione delle loro infrastrutture petrolifere diventa una questione strategica di primaria importanza.

Mentre il mondo monitora da vicino gli sviluppi in questa regione, qualsiasi escalation potrebbe interrompere le forniture energetiche globali e causare una crisi petrolifera con conseguenze economiche disastrose.

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