“La stampa femminile raramente presenta persone che vanno oltre la copertina!” denuncia Melha Bedia (e ha ragione)

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Troppo poco inclusiva, nei confronti delle donne grasse, razzializzate e tante altre che non corrispondono ai dettami di bellezza… La stampa femminile si vede vestita per l’inverno da Melha Bedia. Giusto?

“La stampa femminile raramente presenta persone che vanno oltre la copertina!” denuncia Melha Bedia (e ha ragione)

Neppure Saupiquet mi voleva!

Sul set di “C à vous”, la comica e attrice Melha Bedia, protagonista della serie Miskina, poverina (su Prime), si è permessa di lanciare qualche sentita frecciata sullo status di musa ispiratrice, sui diktat di bellezza e… sulla stampa femminile. Lo stiamo ascoltando?

Anche “Lu” non mi ha voluto, sto su “Saupiquet”, i miei amici, sono muse di Vuitton. La stampa femminile raramente presenta persone che vanno oltre la copertina. Come vuoi che mi ami?“, scherza la giovane nel talk show di 5.

Sono un po’ troppo sovrappeso, ho troppi intoppi nel 2027, sono già alle Olimpiadi di Los Angeles. Ho un problema iniziale come Jean-Pascal Zadi“, ride il comico. Ciò che l’attrice affronta con disinvoltura in questa breve sequenza con l’aria falsa di uno sketch ha il pregio di porre domande rabbiose. La stampa femminile è ancora molto selettiva sotto la maschera del glamour?

Lo sfogo di Melha Bedia: la stampa femminile non è ancora inclusiva ai tempi del movimento body positive?

È un problema reale quello che sottolinea la giovane attrice e sorella di Ramzy Bedia. Anche nell’era del movimento body positive, dov’è la diversità sulle prime pagine delle riviste femminili? Articoli e file porranno maggiore enfasi sulle questioni sociali attuali. Ma al di là degli articoli, le copertine delle riviste più mainstream tendono ad essere sopraffatte dalle convenzioni estetiche…

Donne razzializzate, donne grasse, donne con disabilità, donne di cinquanta, sessanta, settant’anni… Uno status di star universale “autorizza” eccezionalmente i profili femminili più “atipici” ad avere diritto alla prima pagina. Ciò si osserva regolarmente all’interno dei gruppi femminili, mentre le lotte delle persone interessate, i concetti di grassofobia e di “ageismo” – la discriminazione e l’esclusione a cui sono soggette le donne dall’età di quarant’anni – sembrano tutti pienamente compresi dalla maggior parte delle persone oggi.

Il segno di un’ipocrisia che non dice il suo nome, tra buone intenzioni, parole scelte correttamente e totale mancanza di cambiamento nel volto? La questione della prima pagina – quella che evidenzia, e propone – resta un simbolo di questa impasse, anche dopo anni di sollevazioni femministe, e la popolarità dei post umoristici delle attiviste ampiamente seguiti sui social network come Instagram.

Ciò che affronta la giovane attrice ci riporta alle riflessioni di Mona Chollet nel suo saggio di riferimento bellezza fatale. La saggista svizzera parla ampiamente dell’alienazione delle donne e della notevole responsabilità della stampa femminile a questo riguardo. Conformità più o meno consapevole a ciò che viene loro richiesto, ossessione permanente per il peso (da perdere), presenza dello sguardo maschile…

E a questo si aggiunge il “vicolo cieco” della body positivity!

Come sintetizza su Terrafemina la saggista Gabrielle Deydier (“Finiamo bene i grandi”): “Le persone capiscono meglio di cosa parliamo quando parliamo di grassofobia, ma le reazioni o i discorsi grassofobici sono ancora tutt’altro che rari. L’esempio della moda parla da solo: sì, è positivo offrire sfilate più inclusive, modelli body positive (non credo che stiamo cadendo nel “fat washing”), ma la gente è troppo trendy per crederci perché vede persone grasse in parata, allora il problema sarebbe necessariamente risolto

Quante linee devono ancora essere spostate!

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