Sul fronte della lotta alla malaria, alle allerte degli anni precedenti si sono aggiunte notizie preoccupanti: in Africa, tra i bambini è in aumento la resistenza ai trattamenti standard contro la malaria. Secondo uno studio pubblicato il 14 novembre sul Giornale dell’American Medical Association (JAMA), più del 10% dei bambini affetti da malaria grave in Uganda sono portatori del ceppo della malaria Plasmodium falciparum. Questo parassita presenta mutazioni genetiche che lo rendono resistente alle molecole derivate dall’artemisinina, pilastri delle attuali cure.
L’arrivo di questi farmaci, circa vent’anni fa, costituì una svolta importante: riuscirono a curare rapidamente le infezioni, ma anche ad aggirare il problema della perdita di efficacia delle precedenti famiglie di antimalarici.
Già nel 2008, tuttavia, in Cambogia è apparsa una resistenza parziale ai derivati dell’artemisinina. Un allarme seguito, nel 2013, dal rilevamento di una resistenza completa a questi trattamenti in alcuni parassiti del Sud-Est asiatico. Nel 2021 il problema si estende all’Africa orientale: sono colpiti a loro volta Uganda, Ruanda e Gibuti; poi l’Etiopia, nel 2023.
Forme gravi o complicate
Inizialmente si credeva che questa resistenza si fosse diffusa dall’Asia all’Africa. Sbagliando: « I ceppi resistenti comparsi in Africa non portavano le stesse mutazioni responsabili della resistenza, sul gene K13, di quelli isolati in Asiaspiega il dottor Marc Thellier, direttore del Centro nazionale di riferimento per la malaria, presso l’ospedale Pitié-Salpêtrière (AP-HP), a Parigi. In Africa la resistenza è emersa in modo autonomo e tardivo rispetto all’Asia: lì la pressione esercitata dai farmaci è meno forte e la varietà genetica dei ceppi parassiti è maggiore. »
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Realizzato congiuntamente da équipe ugandesi, keniane, americane e inglesi, questo nuovo studio è stato condotto su 100 bambini di età compresa tra 6 mesi e 12 anni (età media: 3,72 anni; 47% ragazze). Tutti erano stati ricoverati in ospedale per forme gravi o complicate di malaria, esponendoli al rischio di grave anemia o complicazioni cerebrali potenzialmente fatali.
Tutti hanno ricevuto il trattamento standard per le infezioni complicate della malaria: un’infusione endovenosa di un derivato dell’artemisinina (artesunato), della durata da uno a tre giorni – a volte di più –, seguita da un trattamento orale con una terapia che combinava un derivato dell’artemisinina (qui, artemether) con un altro famiglia degli antimalarici (lumefantrina). “Il trattamento endovenoso iniziale, per queste forme gravi, offre il vantaggio di agire rapidamente”spiega la professoressa Sandrine Houzé, responsabile del dipartimento di parassitologia-micologia del Centro nazionale di riferimento sulla malaria, presso l’ospedale Bichat (AP-HP), a Parigi. Per le forme non gravi, invece, il trattamento inizia subito con la terapia orale combinata.
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