un’equazione insostenibile per il futuro della Francia

un’equazione insostenibile per il futuro della Francia
un’equazione insostenibile per il futuro della Francia
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François Villon described in Rimpianti (1461) commento “la bella che era heaulmière” contemplato gli effetti di “vecchiaia infida e orgogliosa” su di lei – che Rodin trascrisse poi in una scultura che, sotto la forza del bronzo, trasmette la fragilità dell’invecchiamento. Prima di prendere il nome della poesia, si chiamava l’opera Inverno.

Nel 21° secolo, gli anziani sono una nuova primavera e la silver economy è fiorente. Ora, in una Francia dove la speranza di vita alla nascita è di circa 86 anni per le donne (da 28 a 60 anni) e di 80 anni per gli uomini (da 24 a 60 anni), il 23% della popolazione ha meno di 20 anni e il 22% più di 65 anni, secondo l’INSEE. La piramide delle età è distorta. La tendenza si intensificherà: l’indice di fertilità (1,62 figli per donna) non era più così basso dai tempi della Prima Guerra Mondiale. L’equilibrio naturale è minimo. Si tratta di una sfida immensa perché, di fronte al calo della natalità, le risposte non sono ovvie, come sottolinea Julien Damon in un recente lavoro.

Le sfide che ne derivano sono immense. Maxime Sbaihi, che pubblica un saggio sull’argomento, cita cifre significative: dal 2010 la Francia, che conta 17 milioni di pensionati, ha chiuso più di 5mila scuole. Quali saranno gli impatti di questo invecchiamento sulla produttività? Sulla voglia di innovare? Sulle infrastrutture, sull’urbanistica o sui servizi pubblici? Anche sulla vita democratica?

La nostra popolazione attiva diminuirà. In altre parole, domani ci saranno meno persone in grado di produrre, insegnare, curare, creare o coltivare. Ci saranno anche meno contribuenti che percepiscono redditi da lavoro e meno contribuenti per finanziare il piano pensionistico. L’informazione non è nuova: nel 1991 Michel Rocard metteva in guardia in un Libro bianco “I piani pensionistici avranno problemi di finanziamento” auto “dove nel 1970 avevamo tre contribuenti per ogni pensionato, ce ne saranno solo 1,9 nel 2010 e 1,7 nel 2040”. Oggi il rapporto è 1,77.

Domani ci saranno meno persone a produrre, creare…

Tuttavia, i leader politici propongono di decostruire i modesti sforzi dolorosamente previsti dalla riforma del 2023. Al di là dell’impossibile equazione di un sistema in cui il numero dei beneficiari aumenta mentre quello dei finanziatori diminuisce, il loro progetto porta ad un declino disfattista. Si tratta, infatti, di ridurre la quantità di lavoro nel paese, allontanando anticipatamente le persone ancora dinamiche dal mercato, anche se questo risentirà degli effetti demografici e sarà già inferiore a quello dei nostri vicini. (il tasso di attività, ovvero la quota di persone in età lavorativa effettivamente presente sul mercato, è del 74% in Francia rispetto all’80% in Germania; il tasso di occupazione, ovvero la quota di persone che effettivamente hanno un lavoro, è del 68%, rispetto 77% attraverso il Reno).

Il resto dopo questo annuncio

Non occorre essere un grande chierico per capire che questa è un’impasse: meno lavoro c’è, più è difficile creare ricchezza e più complesso è finanziare servizi pubblici o prestazioni di solidarietà. – soprattutto perché l’innovazione stenta, perché l’Università e la ricerca soffrono, e la competitività è a mezz’asta.

Tutto questo, insomma, non è che l’illustrazione di un fallimento, quello del malthusianesimo economico, che impoverisce invece di sviluppare, addormenta invece di stimolare, e che già Alfred Sauvy denunciava in un libro intitolato, così premonitore, La vecchiaia delle nazioni.

Francia

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