Il suicidio tra gli anziani, un fenomeno ancora tabù

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A 75 anni, Raymond fu ricoverato in ospedale per un tentato suicidio mediante impiccagione. È stato un contesto di grande solitudine, unito ad un sentimento di panico di fronte alle procedure amministrative che non era più in grado di gestire, che lo ha portato a commettere questo atto. Voleva farla finita. Ma il giorno dopo criticò il suo impulso e chiese di essere aiutato. Un mese dopo ha potuto ritornare a casa sua con assistenza e monitoraggio medico-sociale.

In Francia, circa 9.000 persone si suicidano ogni anno, ovvero 25 morti al giorno, secondo il Centro di Epidemiologia delle Cause Mediche di Morte (Cépidc). Nel nostro Paese si contano inoltre 685 tentativi di suicidio al giorno, ovvero 200.000 all’anno.

Si stima che questi dati siano sottostimati di circa il 10%, a causa di sottodichiarazioni che non tengono conto degli “incidenti”, dei comportamenti a rischio o della sindrome da scivolamento, descritta dal geriatra Yves Delomier come una condizione di grande gravissima destabilizzazione somatica e psicologica, specifica agli anziani.

Tuttavia, la tendenza è al ribasso in tutte le fasce d’età, con la notevole eccezione degli anziani. Pertanto, oltre la fascia di età di 70-75 anni, si registrano ogni anno 3000 decessi per suicidio, che rappresentano il 30% di tutti i suicidi. Facciamolo notare [75 % des décès par suicide concernent les hommes de plus de 65 ans]. Per loro il rapporto tentato suicidio/suicidio compiuto è prossimo a 1, perché utilizzano mezzi violenti (impiccagione, arma da fuoco, gettazione sotto un treno o defenestrazione).

Nonostante questi dati allarmanti, il fenomeno del suicidio tra gli anziani è spesso invisibile o banalizzato e resta un tabù. Nella nostra società utilitaristica che valorizza l’autonomia e le prestazioni, la vecchiaia è spesso equiparata alla decrepitezza del corpo e della mente e alle perdite cumulative, compresa quella del proprio ruolo sociale. Questa visione sociale porta gli anziani a scomparire dalla scena, a perdere la propria autostima e a sentirsi come se stessero diventando un peso.

Un accumulo di difficoltà

Nella maggior parte dei casi, i pensieri suicidi tra gli anziani sono un segno di difficoltà nell’affrontare l’insieme delle difficoltà della vita quotidiana (inadeguatezza della città ai viaggi, illectronismo – neologismo che descrive “analfabetismo digitale”, in altre parole difficoltà nell’uso di base degli strumenti digitali). Anche problemi psicologici costituiscono una spiegazione del gesto (il 70% dei suicidi soffre di depressione, così come difficoltà somatiche (dolore, incapacità funzionale, ecc.).

Ulteriori fattori di rischio sono l’isolamento, la vedovanza, la perdita delle relazioni sociali e familiari, il difficile accesso al sistema sanitario (800.000 persone affette da malattie croniche sono senza medici), la perdita di autonomia, l’istituzionalizzazione (secondo uno studio CREDOC 2018 solo il 18% degli anziani che accettano volontariamente di entrare in una casa di cura), o anche situazioni di maltrattamento, insicurezza economica, lutto e, infine, il senso di inutilità, quindi di perdita di significato.

Il lutto e la vedovanza possono essere fattori scatenanti per un atto suicidario.
William Edge/Shutterstock

Queste rotture della vita possono esprimersi con il passaggio ad un atto suicidario. Ma esprimono necessariamente il desiderio di porre fine a tutto ciò? Niente è meno sicuro…

Una questione sociale

“Che senso ha”, “Non ce la faccio più”, “Sarebbe meglio morire”, “Non voglio essere un peso”…

Molto spesso, quando dicono di voler morire, gli anziani intendono soprattutto che vogliono smettere di soffrire fisicamente o psicologicamente. Dobbiamo quindi darci il tempo di camminare con loro per costruire un progetto di vita e un’alleanza terapeutica.

Da problema sanitario, il suicidio tra gli anziani sta diventando una questione sociale. In un simile contesto, proporre la “libera scelta” a favore del suicidio assistito (che è in un certo senso “suicidio su prescrizione medica”) o dell’eutanasia (il medico poi inietta il prodotto letale), con il pretesto che la richiesta sarebbe già ciò solleva la questione.

Di che richiesta si tratta? Da quello di chi, a un dato momento, trovandosi in un vicolo cieco esistenziale, decide di porre fine alla propria vita, come Léontine, 98 anni, che mi confida, seduta sulla sua sedia a rotelle: “Non posso, non voglio disturbare ed essere un peso per i miei figli. Vivere così non è una vita…” Poi aggiunge: “Mi piacerebbe ancora rivederli, i miei figli e anche i miei nipoti. Sono il sale della vita. »

Dopo la crisi suicida avviene una temporalità molto importante: la mano tesa, la riflessione, la critica di un gesto disperato e il ritorno alla vita. Ricordiamo che il suicidio non è un diritto, ma una libertà, garantita dal 1791 dall’articolo 4 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

Il suicidio è considerato l’ultima espressione della libertà dell’individuo. Ma la libertà di scelta del suicida può, in realtà, essere ostacolata da sofferenze psichiche intollerabili, che solo il progetto suicidario può alleviare. Il suicidio è soprattutto una tragedia personale, familiare e sociale. In questi casi, le richieste esplicite di eutanasia sono molto rare e vengono meno non appena vengono messe in atto cure adeguate.

Prevenire il comportamento suicidario

È dovere di tutti aiutare la persona che tenta il suicidio, e più in particolare il medico che, in termini di responsabilità (etiche, umane, legali civili, penali (non assistenza a persona in pericolo) e ordinali) deve fare tutto il possibile secondo ai dati scientifici attuali, ma senza irragionevole ostinazione, ad occuparsi dei suicidi.

Prevenire il comportamento suicidario tra gli anziani implica identificare la crisi suicidaria e valutarne il rischio. In questo contesto, i programmi di prevenzione del rischio di suicidio, in particolare per gli anziani, non sono sufficientemente conosciuti.

Prestare attenzione ai segnali di pericolo può aiutare a prevenire una crisi suicidaria.
Alessandro Biascioli/Shutterstock

Nelle sue raccomandazioni di buona pratica relative alla considerazione della sofferenza psicologica degli anziani, l’Alta Autorità della Sanità (HAS) elenca diversi punti da monitorare:

  • la verbalizzazione esplicita di idee suicide, le cui modalità sono ben precise;

  • l’espressione di un sentimento di colpa o di colpa imperdonabile,

  • scrivere una lettera d’addio o un testamento;

  • un brutale rifiuto della comunicazione o dell’aiuto solitamente ricevuto e accettato;

  • un miglioramento improvviso e inspiegabile dell’umore;

  • un livello insolito di ansia;

  • alcolismo insolito;

Tra i punti di vigilanza, l’HAS sottolinea che “per alcuni anziani l’atto avviene poco dopo il verificarsi del fattore scatenante. Il rapido deterioramento delle condizioni della persona lascia poche opportunità di osservare segni di suicidio. »

L’HAS indica inoltre che “le preoccupazioni legate alla morte possono essere un argomento discusso molto frequentemente dagli anziani. Se questi commenti restano isolati, non riflettono sistematicamente un reale desiderio di uccidersi ma piuttosto una preoccupazione per la fine della propria vita. »

A questo proposito assistiamo ad una forte richiesta sociale di cambiare le condizioni di fine vita, come dimostra il 75,6% degli elettori del congresso dei cittadini che si schierano a favore dell’assistenza attiva alla morte. E questo, in un contesto in cui la legge sulla vecchiaia è stata abbandonata e dove l’accesso alle cure palliative stenta a diffondersi in tutta la Francia: ricordiamoci che oggi mancano posti letto e unità di cure palliative: [50 % des besoins ne sont pas couverts].

Nel parere 139 del CCNE, come nell’esposizione del disegno di legge sulla morte assistita, è in nome del rispetto della libertà, della fraternità e del dovere di solidarietà che la società si dice disposta ad affidare solo ai medici (il cui ruolo è quello di curare , ascoltare sempre, talvolta guarire ma soprattutto sostenere i più vulnerabili), l’attuazione del suicidio assistito e, se la persona non può farlo, l’eutanasia.

Da una situazione singolare e personale, vediamo emergere un desiderio sociale di controllare l’incontrollabile, medicalizzando ciò che è alla base della nostra umanità: la vecchiaia e la morte. Una società giusta ed etica dovrebbe consentire agli anziani di suicidarsi se lo desiderano? È ancora una scelta, quando sentiamo di diventare un peso?

Queste domande attraversano il film Piano 75insignito della Caméra d’or du 75e Festival del cinema di Cannes. In questa distopia, il regista Chie Hayakawa immagina un Giappone dove, a partire dai 75 anni, viene offerto sostegno logistico e finanziario agli anziani per accettare l’eutanasia. In questo sistema sociale esaurito, la scelta non esiste più. Con questo film, Hayakawa ci ricorda che una società si giudica dal modo in cui tratta i suoi anziani…


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