Questo è ciò che i neurologi sanno del cervello di questi anziani che invecchiano senza perdere nessuna delle loro facoltà cognitive

Questo è ciò che i neurologi sanno del cervello di questi anziani che invecchiano senza perdere nessuna delle loro facoltà cognitive
Questo è ciò che i neurologi sanno del cervello di questi anziani che invecchiano senza perdere nessuna delle loro facoltà cognitive
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Considerare come inevitabile l’indebolimento complessivo delle capacità cognitive con l’età è infatti un po’ semplicistico.

Atlantico: Dimenticanza, pensieri confusi… Molto spesso, la cognizione si deteriora con l’avanzare dell’età. Tuttavia, alcuni individui chiamati “super anziani” sembrano misteriosamente lottare più facilmente contro le ingiurie del tempo. Chi sono questi “super-anziani”? Ci sono differenze significative nel loro stile di vita o nelle loro abitudini rispetto ad altre persone della loro età?

André Nieoullon: Considerare come inevitabile l’indebolimento complessivo delle capacità cognitive con l’età è infatti un po’ semplicistico. Per almeno due ragioni. In primo luogo perché se infatti alcuni aspetti della cognizione sono evidentemente sensibili all’invecchiamento tanto che questo può essere compreso misurando le capacità cognitive in rapporto alla velocità di elaborazione delle informazioni necessarie al ragionamento, quella che chiamiamo “memoria di lavoro” è particolarmente importante per la realizzazione di tale processo -dette funzioni “esecutive”, o cosiddetta “memoria episodica”, altri aspetti delle funzioni cognitive sembrano, invece, non essere significativamente influenzati dall’età avanzata; come le abilità verbali, le cosiddette abilità “procedurali” o anche la memoria semantica, in relazione al significato delle parole, o ancora le abilità legate al calcolo mentale, a titolo illustrativo. Quindi, e questo è il secondo motivo per cui è, dal mio punto di vista, troppo semplicistico considerare come inevitabile l’indebolimento delle capacità cognitive con l’età, perché non tutti gli individui ne sono colpiti allo stesso modo. È in questo contesto che è apparso il concetto che tu evochi di queste persone “super-anziane” che, secondo gli studi più recenti, presentano intorno agli 80 anni capacità cognitive equivalenti a quelle di individui con 20-30 anni in meno , che potrebbe rappresentare circa il 5% della popolazione anziana esente da disturbi neurologici e psichiatrici.

Ad essi, da diversi decenni, sono stati dedicati numerosi studi in quanto le capacità cognitive di questi individui sono notevoli, portando alla conclusione che, se le abilità legate alla conoscenza e all’esperienza acquisita sono, in generale, piuttosto mantenute con l’età, quelle legate al ragionamento le capacità sono particolarmente preservate in questi “super-anziani”. Tutto il lavoro mira a comprendere cosa possa spiegare la notevole resistenza all’avanzare dell’età di queste persone rispetto ad altre. A questo punto la questione resta aperta e si scopre che a priori né lo stile di vita, né l’alimentazione, né l’educazione riescono davvero a spiegare questa particolare resistenza agli effetti del tempo, tranne forse che questi soggetti presentano relazioni sociali particolarmente sviluppate e molto attività fisica preservata, e presentano danni alla salute mentale valutati in termini di ansia e depressione molto inferiori a quelli dei soggetti che mostrano funzioni cognitive “normali” in rapporto alla loro età. Ma per il momento non è stato raggiunto nulla di definitivo e gli studi continuano, da un lato, a livello genetico, dall’altro, interrogandosi sulle possibili caratteristiche dell’organizzazione cerebrale.

Uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience aiuta a far luce su ciò che rende i superanziani così speciali, evidenziando le differenze nella struttura del loro cervello. Di cosa stiamo parlando ? A cosa sono dovute queste differenze?

Ti riferisci ad un recente studio di un gruppo di ricercatori spagnoli, che hanno studiato l’organizzazione cerebrale di queste persone “super-anziane” utilizzando la risonanza magnetica, per scoprire se la struttura del cervello stesso fosse piuttosto conservata rispetto a quella di individui che presentano invecchiamento considerato “normale”. Nel complesso, il risultato principale di questo studio è quello di dimostrare che, se siamo interessati all’evoluzione della struttura del cervello in un follow-up di 5 anni a partire dai 75 anni, le modifiche strutturali rilevate in termini di volume del grigio la materia e la sostanza bianca erano caratterizzate da una forma di conservazione del cervello nel tempo nei “super-anziani” mentre gli altri soggetti vedevano il loro volume cerebrale significativamente alterato durante questo stesso periodo di tempo. Questi dati erano collegati alle particolari capacità cognitive degli individui “super-invecchiati”.

È interessante notare, tuttavia, che quando i ricercatori si interessano più particolarmente alla sostanza bianca, che rappresenta i fasci di fibre che collegano tra loro le diverse regioni del cervello, si scopre che queste connessioni cerebrali appaiono particolarmente conservate nelle aree rappresentate dal cervello anteriore, quelle che chiamiamo da un lato il lobo frontale coinvolto nelle funzioni cognitive o il giro del cingolo, senza grandi differenze nelle regioni che contribuiscono alla memoria e ai processi attenzionali, in particolare l’ippocampo, in relazione a quanto si ritiene generalmente che queste strutture siano più sensibili all’invecchiamento rispetto al resto del cervello. Tuttavia, altri studi focalizzati questa volta sullo studio della materia grigia, dove sono localizzati i neuroni, tendono a dimostrare che al contrario vi è nei “superinvecchiati” una relativa conservazione di queste regioni coinvolte nei processi di memoria, suggerendo migliore controllo di questi processi da parte della corteccia prefrontale. Ma, allo stato attuale, non vengono forniti elementi esplicativi sull’origine di queste conservazioni strutturali del cervello in relazione all’avanzare dell’età.

Ci sono riflessi da adottare per “preservare” il nostro cervello mentre invecchiamo?

Dal momento che nessun fattore determinante di questi meccanismi può essere individuato in termini di fattori demografici, di stile di vita o addirittura genetici (in questa fase) per tenere conto delle particolari prestazioni cognitive dei “super-anziani”, è difficile proporre ricette probabili attenuare gli effetti dell’invecchiamento sul comportamento. Ci atterremo quindi alle consuete considerazioni secondo cui uno stile di vita sano, comprendente diete volte a ridurre gli effetti dell’obesità o addirittura del diabete e delle malattie cardiovascolari, nonché un’attività fisica regolare e sostenuta, con il mantenimento di forti relazioni sociali, hanno chiaramente un effetto positivo sulle conseguenze dell’invecchiamento.

La maggior parte delle ricerche sull’invecchiamento e sulla memoria si concentra sulle persone che sviluppano la demenza negli ultimi anni di vita. La ricerca dovrebbe concentrarsi maggiormente sullo studio degli individui che invecchiano in buona salute?

In sostanza hai ragione, ma l’uno non esclude l’altro. In termini di salute pubblica, la priorità è legittimamente data alla ricerca sulla malattia di Alzheimer, dato il peso che la demenza rappresenta per la nostra società. Ma è interessante notare, come evidenziato da diversi studi, che i “superanziani” hanno, a quanto pare, meno probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer rispetto ai loro coetanei meno favoriti dal punto di vista cognitivo. Questa è forse una direzione di ricerca nella quale bisognerebbe investire per cercare di capire perché questi individui sono particolarmente resistenti all’insorgenza della demenza.

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