Non possiamo più uscire da questa situazione. Nonostante il rugby, quello del campo, che riprende e si rigioca, dove l’UBB brilla nella Top 14, Biarritz stupisce in Pro D2, Périgueux e Langon creano scalpore a un livello inferiore. Ma negli ultimi tempi questo sport è stato spesso superato dal business…
Nonostante il Sudafrica che si sia definitivamente imposto come padrone del mondo e Eben Etzebeth come Ares*. Nonostante le cose del XV francese che lentamente riprendono e le organizzazioni per la tournée autunnale che finalmente si stanno mettendo a punto, in attesa dei primi nomi dei convocati, dei primi allenamenti e della prima partita contro il Giappone.
Non possiamo andare avanti con tutta la nostra roba. Di tante faccende, questa parola dietro la quale non risuona mai nulla di buono. Giudicate invece la settimana “gloriosa” del rugby francese, dove il pallone è eclissato dalle elezioni per la presidenza della FFR.
Lunedì comunicato stampa “attaccato” a Camp Codorniou, in tema di assicurazioni. Martedì, risposta “in difesa” del campo grillino, sullo stesso argomento. Cifre contro cifre, dove ognuno fa la sua dimostrazione aritmetica per affermare la propria convinzione.
Sempre martedì lettera di dimissioni di sedici membri del comitato direttivo, tutti dell’opposizione. Coraggioso ? Simbolico, soprattutto: prima delle elezioni del 19 ottobre non era più previsto alcun comitato direttivo. Stiamo cedendo all’effetto comunicativo e, intanto, le società dilettantistiche a contatto con la realtà sul campo non sono nemmeno più impazienti. Consegnano le armi.
A Midol immaginiamo di discutere con chi vive quotidianamente un altro rugby, quello delle città e delle torri. È il sale della nostra professione. Allora, pro-Grill? Pro-Codorniou? Possono avere le loro idee e le loro convinzioni che si oppongono a loro. Ma si sono uniti nei giorni scorsi su un tema: “Stufi di questa campagna che parla di tutto fuorché delle nostre realtà, delle nostre difficoltà. » E alcuni addirittura osano, allo stremo delle forze: “Non vedo l’ora che tutto questo finisca”. »
Li ascoltiamo, li ascoltiamo e li capiamo. Mentre sentiamo questa esasperazione che nasce tra gli spettatori, meno impegnati nelle questioni rugbistiche, ma altrettanto appassionati: da quest’estate 2024, ricorderemo soprattutto il dramma.
L’affare Jegou-Auradou ovviamente, che non finisce mai. Ogni giorno, ogni settimana, ci viene promesso un verdetto. Qualunque cosa sia. E poi niente, se non un dibattito (finalmente) aperto sui terzi tempi, sulle loro pratiche e sui loro eccessi, dove si sciolgono le lingue sulle molteplici dipendenze che lì fioriscono.
Poi il caso Narjissi, così sconvolgente ma che ora si trasforma in una battaglia legale dove tutti si incolpano a vicenda per l’errore, l’incoscienza o la codardia. Dimentichiamo (troppo) velocemente l’indicibile disgrazia di questa famiglia, di fronte all’orrore di perdere un figlio: è giunto il momento della guerra, quella degli avvocati e dei loro incisivi comunicati stampa per affermare che “è colpa dell’altro” . Era prevedibile. Non è glorioso però.
Il rugby soffre di tutto questo. Da ciò che ha creato, come si genera un mostro. Soprattutto, il rugby dovrà reinventare un argomento a sé stante, quando la sua realtà economica è innanzitutto quella dei mecenati, degli sponsor e quindi, in ultima analisi, di un certo sostegno da parte del grande pubblico. Se ha fatto affidamento per vent’anni sui valori autoproclamati, come una benedizione caduta dal cielo, il nostro sport farà fatica a ripetere questo argomento nei prossimi mesi, davanti al pubblico dei partner. Tuttavia, il loro sostegno è fondamentale per pensare al futuro e abbracciarlo. Oggi il rugby francese vende al suo mondo soprattutto una storia nauseante, dagli affari ai colpi di scena della campagna elettorale. Quindi ci muoviamo, cambiamo e usciamo?
*Dio greco della guerra
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