L'allenatore degli All Blacks Scott Robertson, chiudendo il tour autunnale, ha aperto la discussione su un cambiamento nell'idoneità. Sarebbe una piccola rivoluzione nel panorama del Rugby neozelandese.
È stato un appello all'apertura lanciato da Scott Robertson alla fine della serie autunnale degli All Blacks. L'allenatore, dopo la poco convincente vittoria ottenuta a Torino contro l'Italia (29-11), annunciato in conferenza stampa: “Non vogliamo restare indietro di un ciclo o di qualche anno. Il rugby professionistico è in continua evoluzione. Manteniamo la mente aperta e vediamo cosa ci aspetta. Sarò sicuramente presente”. Ciò che lascia intendere è semplice, è l'apertura della selezione neozelandese ai giocatori con sede all'estero. Attualmente la federazione del Paese dalla lunga nuvola bianca vieta qualsiasi selezione di un giocatore non sotto contratto. Un modo per limitare la partenza dei giocatori verso campionati più redditizi come la Top 14 o la League One giapponese.
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La “presentazione” sarebbe rivolta ai leader NZR per cercare di convincerli. L’argomento per “Razor” è il seguente: “Se prendiamo l’esempio del Sud Africa, loro hanno la possibilità di utilizzare tanti giocatori esperti che vengono seguiti e gestiti fino ai trent’anni, il che permette loro di avere un buon equilibrio. Inoltre la loro rosa è numerosa, possono farlo schiera due squadre di altissima qualità da 15.”
Ricordiamo che il modello sudafricano consente ai giocatori di giocare in un club all'estero e di rimanere comunque idonei a indossare la maglia del Bok. Nel caso della Nuova Zelanda, ciò indebolirebbe notevolmente le franchigie che partecipano al Super Rugby Pacific, le cui finanze sono lontane dal livello offerto in Europa o in Giappone. Per questo il tecnico Scott Robertson sa che dobbiamo trovare una soluzione intermedia, paragonabile al funzionamento dell'Australia o del Galles. Vale a dire che i giocatori più esperti, avendo già un certo numero di mantelli, potrebbero poi esportare e comunque candidarsi. Continua…
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