« La richiesta dei fucilieri si è concentrata su diverse questioni, le più importanti delle quali sono il risarcimento, gli stipendi, i bonus di smobilitazione e altre indennità, ma anche le condizioni di reclusione a Thiaroye e il ritorno ai paesi di origine.“. Un ricordo del professor Mamadou DIOUF.
Presidente del Comitato per la commemorazione dell’80° anniversario del massacro dei fucilieri senegalesi a Thiaroye il 1° dicembre 1944, ritiene che “ è fondamentale rompere il silenzio e mostrare con forza il nostro punto di vista, i nostri commenti e la nostra fantasia creativa sull’evento« .
Scopri l’intero discorso del professor Mamadou Diouf:
L’enigma del massacro dei fucilieri di Thiaroye, il 1° dicembre 1944, all’alba, occupò molto presto politici, intellettuali e artisti, Lamine Gueye, Léopold Sédar Senghor, Keita Fodéba, storici e letterati (Myron Echenberg, Mbaye Gueye , Cheikh Faty Fay, Armelle Mabon, Abdou Sow, Martin Mourre, Sabrina Parent…), scrittori e registi (Boubacar Boris Diop, Ben Diogaye Beye, Doumbi Fakoli, Sembène Ousmane e Thierno Faty Sow).
Il 1° dicembre 1944, alle 5:30, 1.200 uomini delle truppe coloniali francesi e della gendarmeria presero posizione attorno al campo militare di Thiaroye. I soldati, armati e pronti, sono supportati da tre mezzi blindati e due carri armati. All’interno della caserma hanno risposto da 1.200 a 1.800 fucilieri senegalesi.
La qualificazione territoriale “senegalese” cancella la diversità della loro origine territoriale. Venivano reclutati, spesso con la forza, nei possedimenti francesi in Africa (AOF, AEF e Camerun e oltre). Erano vittime del trattamento razzista associato al sistema coloniale. Hanno partecipato alla guerra su tutti i fronti, primo fra tutti quello europeo.
Presi prigionieri in seguito alla debacle dell’esercito francese nel giugno 1940, trascorsero circa un anno in Germania; alcuni furono poi trasferiti nei “Fronts-Stalags” (campi di lavoro) all’interno della Francia occupata. Lì sono costretti a svolgere compiti che contribuiscono allo sforzo bellico tedesco. Dopo il rilascio, alcuni continuarono la guerra con i soldati della Francia libera, altri furono incorporati nelle unità di lavoro militare.
Poi arriva la liberazione (estate e autunno 1944). Raggruppati in campi del centro e del sud della Francia, dopo quattro anni trascorsi nelle carceri tedesche, i fucilieri senegalesi furono rimpatriati in Africa. Sono di stanza a Thiaroye in attesa della loro smobilitazione e del ritorno nei loro territori d’origine.
Le richieste dei fucilieri riguardavano diverse questioni, le più importanti delle quali sono il risarcimento, gli stipendi, i bonus di smobilitazione e altre indennità, ma anche le condizioni di reclusione a Thiaroye e il ritorno ai paesi di origine. La risposta delle autorità coloniali non si è fatta attendere. La violenza sistematica del governo coloniale stava riconquistando i suoi diritti. Il paradosso è che la celebrazione della “liberazione”, emblema distintivo della Francia alla fine della guerra, segna il massacro dei fucilieri senegalesi a Thiaroye. Non si tiene conto del loro contributo alla liberazione della Francia; ancor meno i valori e gli impegni civici e democratici incoraggiati dalla guerra. Ciò è dimostrato dagli “ammutinamenti” e dalle “rivolte” che hanno scosso le truppe coloniali.
I massacri sono ricorrenti nella storia degli imperi coloniali. Thiaroye è, però, un momento speciale. Si svolge nel contesto della celebrazione dell’euforia della liberazione, del trionfo dei leader della resistenza, “i compagni della liberazione” sotto la guida del generale De Gaulle. È proprio in questo momento di rifondazione alimentato da “una certa idea di Francia” che avviene la sanguinosa repressione delle legittime richieste degli ex prigionieri che avevano subito gli orrori della prigionia, della tortura e delle privazioni. Il massacro di Thiaroye distrusse brutalmente i sogni di emancipazione sostenuti dalla propaganda dei liberatori della Francia. La fine della guerra, il ritorno dell’immagine profetica di una Francia che si riallaccia alla sua storia e soprattutto alla sua svolta rivoluzionaria, ai valori repubblicani e al rispetto dei diritti umani, ha lasciato i fucilieri senegalesi e i popoli colonizzati sull’orlo del baratro strada.
Nei giorni successivi alla strage, le autorità francesi fecero di tutto per insabbiare “la carneficina e l’uccisione”. Le qualifiche provengono da Lamine Gueye. Modificano i registri di partenza da Morlaix e di arrivo a Dakar, il numero di soldati presenti a Thiaroye, le cause dell’adunata di fucilieri…
Un primo rapporto mostra trentacinque (35) morti in un “ammutinamento”. Il rapporto ufficiale francese elenca 70 fucilieri senegalesi morti. Le stime più credibili parlano da trecento (300) a quattrocento (400) vittime. Questo deliberato desiderio di occultamento, denunciato dagli storici, si manifesta molto presto.
Le circostanze, l’intensità delle operazioni repressive, il numero dei morti restano incerti; alcuni archivi amministrativi e militari sono inaccessibili, falsificati, mancanti o incoerenti. Sollevare il velo sulla strage contro le manovre di occultamento della verità è, oggi, un imperativo categorico. Chiediamo una collaborazione sincera e totale da parte della Francia.
Il governo del Senegal ha deciso di tornare su questo evento con la commemorazione dell’80° anniversario del massacro dei fucilieri senegalesi, a Thiaroye, il 1° dicembre 1944.
Prendere l’iniziativa nella produzione del racconto relativo a questo momento della nostra storia significa restituire l’evento all’Africa, cancellare la territorializzazione coloniale e autorizzare una messa in scena commemorativa commissionata dagli africani, fuori dai campi d’onore francesi.
Certamente, l’ex presidente francese François Hollande ha ammesso nel 2014 che i proiettili francesi avevano ucciso i fucilieri; ha affermato con forza che la sua presenza a Thiaroye era un atto di “riparazione dell’ingiustizia”; che l’intervento dell’esercito francese è stato “terribile e insopportabile”.
Tuttavia, il riconoscimento della sanguinosa repressione le cui vittime indossavano uniformi francesi sembrava avere valore di assoluzione. La Francia non cresce attraverso lo sguardo lucido che ha sul suo passato? Oggi l’ex presidente Hollande ha deciso di riconoscere che si è trattato effettivamente di “un massacro mitragliato, quindi è un massacro” (21 novembre 2024). Il presidente Emmanuel Macron ha seguito l’esempio qualche giorno fa, in una lettera indirizzata al presidente Bassirou Diomane Diakhar Faye.
Il delitto dei fucilieri: “un crimine di disobbedienza” dettato dalla confusione mantenuta dalla metropoli, tra i valori che le sono esclusivamente riservati, da un lato, e il governo e l’arroganza imperiali, dall’altro. Una disgiunzione che ebbe un costo così terribile che le sue ripercussioni si avvertono ancora oggi.
Di conseguenza, è essenziale rompere il silenzio e mostrare con forza il nostro punto di vista, i nostri commenti e la nostra fantasia creativa sull’evento. Thiaroye è per noi senegalesi un’occasione, tanto drammatica quanto maestosa, per concedere alle vittime del massacro lo status di “morti per l’Africa” e per lo spirito panafricano.
La storia è raccontata dall’Africa da Léopold Sédar Senghor nel poema Tyaroye (1944) e da Keita Fodéba (1948) nel suo poema-balletto Aube Africaine. Le poesie sono vedute africane che testimoniano, secondo il primo presidente senegalese, “l’Africa eterna, il mondo che verrà… il mondo nuovo che sarà domani” (Senghor). È proprio questo mondo che verrà, fatto di unità, prosperità, democrazia e diversità, che vogliamo celebrare e realizzare, insieme. Una memoria che dobbiamo continuare a vivere per la nostra storia futura.
Sì, con il regime del nuovo presidente del Senegal Bassirou Diomaye FAYE, sotto la guida del Comitato di Commemorazione istituito dal Primo Ministro Ousmane Sonko, si tratta effettivamente di una rottura con i regimi precedenti iniziata con il massacro di Thiaroye. I regimi che si sono succeduti hanno mantenuto un silenzio colpevole e complice sulla “carneficenza” e sull’“uccisione” di Thiaroye. Riprendo qui le qualifiche di Lamine Gueye.
Una vasta impresa; un’impresa difficile ma molto entusiasmante la cui animazione richiederà operazioni permanenti, capaci di partecipare al lavoro storico e memoriale per produrre storie, lezioni civiche, culturali e artistiche al servizio delle comunità panafricane. Una storia condivisa che alimenta una pedagogia per costruire le basi dell’integrazione africana”.
Per concludere il mio intervento, vorrei ringraziare il Primo Ministro per aver scelto la mia modesta persona per coordinare la commissione incaricata di realizzare la doppia operazione, commemorando l’80° anniversario del massacro, facendo il punto della situazione e avanzando proposte future.
Desidero ringraziare anche i membri del comitato che non hanno risparmiato gli sforzi dedicandosi con dedizione a questo compito. Il loro contributo individuale e collettivo è inestimabile.
Infine, vorrei ringraziare,
– il Ministro Segretario Generale del Governo, Ahmadou Al Aminou LO, e la sua squadra, in particolare
– il consigliere tecnico del primo ministro Abdoulaye Koundoul e i suoi assistenti, Fatima Ly e Coura Cissé,
– i suoi colleghi di diversi dipartimenti ministeriali,
– Le signore Woré Ndiaye e Fatou Fall e,
– fornitori di servizi,
o Gruppo Oura in particolare, Sig.ra Ramatoulaye Ba Sall e Sig. Ousmane Sy,
o la Villa Racine,
– gli organi di stampa, RTS, APS e Quotidien, Le Soleil in particolare,
– Il Museo delle Civiltà Nere,
– Il Grand Théâtre Doudou Ndiaye Coumba Rose,
– Il Luogo della Memoria Africana,
– Università Cheikh Anta Diop,
– AGEROUTE,
– I municipi di Thiaroye Gare e Thiaroye sur Mer e,
– certo, lo vedi tu stesso, il Ministero delle Forze Armate e la Gendarmeria Nazionale.
Grazie per la vostra gentile attenzione
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