Quando il 12 settembre 2020, il pubblico ministero Jean-François Mayet, in servizio presso la procura di Carpentras, è stato informato dell'arresto di un certo Dominique Pelicot, sorpreso in un supermercato a filmare sotto le gonne dei clienti, non lo ha fatto. immaginate che, quattro anni dopo, insieme alla collega Laure Chabaud, avrebbe reclamato davanti alla stampa locale, nazionale e internazionale, contro cinquantuno imputati al processo degli stupri di Mazan. Lunedì 25 novembre, il primo giorno di questa requisitoria a due voci, i corpi tesi dei due rappresentanti dell'accusa, i loro discorsi talvolta disordinati, i loro sguardi incollati sui fogli dattiloscritti posti sulla scrivania, parlavano del comune sgomento provato di fronte alla grandezza del compito che spetta loro.
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Senza dubbio è mancato loro quel respiro che avevamo il diritto di sperare dalle parole del pubblico ministero, che ha parlato a nome della società. Le memorie, la settimana precedente, dei due avvocati di Gisèle Pelicot, Mes Antoine Camus e Stéphane Babonneau avevano alzato l'asticella, sia nella forma che nella sostanza. Non è stato attraversato. Ma la studiosa austerità dei due procuratori generali è stata, in fondo, come questa udienza, dominata dall'inizio alla fine dalla parte civile. A Gisèle Pelicot, anche Jean-François Mayet ha riservato le sue prime parole, salutando la “ammirevole esplosione di resilienza” con cui ha imposto la pubblicità dei dibattiti, contro il parere iniziale del pubblico ministero.
“È stato con un approccio protettivo che abbiamo richiesto la sessione a porte chiuse, si è giustificato. Ma questo senza conoscere la tua forza di carattere, senza dubbio decuplicata dalla violenza dei delitti. E aveva ragione, signora. » «Questo processo, – ha proseguito il procuratore generale – arriva a scuotere la nostra società nel nostro rapporto con gli altri. Mette in evidenza le carenze di alcuni esseri umani quando si tratta dei loro bisogni, dei loro desideri e quando si tratta di comprendere i desideri degli altri. Rivela l’incapacità di alcuni uomini di essere in simmetria con le donne. Tutti quelli che sono qui sono andati a Mazan per avere un rapporto sessuale facile, per rispondere a un bisogno, a un desiderio in cui il posto dell'altro era inesistente. Né prima né dopo si sono posti la questione del consenso di Gisèle Pelicot. »
Cento stupri aggravati
Il compito di aprire le requisizioni contro i cinquanta imputati (il cinquantunesimo è in fuga), riuniti in aula, è poi toccato al procuratore generale, Laure Chabaud. O meglio, contro questi quarantanove più uno, Dominique Pelicot, “chiave di volta di questo file”. Un centinaio di stupri aggravati, dal 2011 al 2020, “impegnati da soli, gli altri in co-azione” e testimoniando“un desiderio di sottomettersi, di degradare quella che forse è la persona a lui più cara”. Ma anche, ha ricordato, a “perversione che va oltre il rapporto con l’ex moglie” e consente che Dominique Pelicot venga perseguito anche per possesso e diffusione di immagini che violano la privacy e l'integrità delle sue nuore e di sua figlia Caroline.
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