In seguito ai requisiti di ineleggibilità di Marine Le Pen mercoledì 13 novembre, il Raggruppamento Nazionale (RN) ha attaccato frontalmente il sistema giudiziario, denunciando, senza alcuna sorpresa, “un’implacabilità” e una presunta volontà del pubblico ministero di allontanarlo dalla vita politica. Al di fuori dell’estrema destra, la maggior parte dei leader della destra e del centro sono rimasti discreti nelle loro reazioni e difficilmente si sono orientati verso la RN, con la notevole eccezione dell’ex ministro degli Interni Gérald Darmanin.
“Sarebbe profondamente scioccante se Marine Le Pen fosse ritenuta non eleggibile e quindi incapace di presentarsi al voto dei francesi”ha scritto il deputato del Nord, poche ore fa dopo che l’accusa ha chiesto – tra l’altro – cinque anni di ineleggibilità contro il presunto candidato alle presidenziali del 2027 nel caso degli assistenti al Parlamento europeo del Fronte nazionale (FN, ora RN, nel 2018). “Combattere MMe La Le Pen è finita alle urne, non altrove. Se il tribunale ritiene che debba essere condannata, non può essere condannata elettorale, senza l’espressione del popolo. – continua l’ex ministro dell’Interno. Prima di chiamare per non avere “paura della democrazia” e non farlo “approfondire la differenza tra le “élite” e la stragrande maggioranza dei nostri concittadini”.
Con l’obiettivo di rivolgersi all’elettorato lepénista, sulle orme del suo modello Nicolas Sarkozy, Darmanin riprende la retorica populista del suo avversario politico, anche se ciò significa alimentare il discredito sul ruolo della giustizia. Le sue dichiarazioni sono tanto più criticabili in quanto l’ipotetica ineleggibilità del MMe Le Pen non sarebbe soggetta ad una decisione dei magistrati ma ad un provvedimento legislativo. Infatti, dall’entrata in vigore della legge Sapin 2 nel 2016, qualsiasi funzionario eletto ritenuto colpevole di appropriazione indebita – una delle accuse contro il leader di estrema destra – viene automaticamente privato del diritto di candidarsi alle elezioni.
Non sarebbe la prima volta che Gérald Darmanin si oppone allo Stato di diritto. Allora ministro dell’Interno, ha confermato nel dicembre 2023 l’espulsione di un cittadino uzbeko, sospettato di radicalizzazione, andando contro una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e del Consiglio di Stato, la prima in Francia.
Il “grande occhiolino” all’elettorato della RN
Il commento di Darmanin ha suscitato critiche all’interno del governo stesso. Giovedì, su Europa 1, il ministro della Giustizia, Didier Migaud, glielo ha ricordato “i magistrati sono indipendenti” et “giudicare in base alla legge approvata dal legislatore”mentre su LCP ha affermato il ministro responsabile dei rapporti con il Parlamento, Nathalie Delattre “profondamente scioccato” dalle parole dell’ex sindaco di Tourcoing.
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