Election day: tutto quello che c’è da sapere
(Luca Angelini dalla newsletter «Prima Ora») L’America oggi va al voto e, scrive Massimo Gaggi nel suo editoriale, «nelle elezioni più contestate del Dopoguerra, gli Stati Uniti si giocano, oltre alla Casa Bianca e al controllo del Congresso, un pezzo consistente della stabilità delle istituzioni e della credibilità della loro democrazia. Qualunque sia l’esito del voto, sempre che sia netto, non contestato, gli americani e l’Occidente dovranno abituarsi a una superpotenza in affanno nello svolgimento del ruolo fin qui avuto nel mondo o che, addirittura, potrebbe cambiare drammaticamente rotta».
La corrispondente Viviana Mazza aggiunge che entrambi i contendenti, Kamala Harris e Donald Trumphanno presentato la sfida come «uno scontro apocalitticoUN battaglia esistenziale». A dimostrazione che l’America resta più polarizzata che mai e, come teme il politologo Ian Bremmer, «il periodo post-elettorale è particolarmente pericoloso, poiché quasi la metà del Paese considererà il risultato illegittimo. Indipendentemente da chi vincerà, decine di milioni di americani troveranno le prove che il loro sistema politico è “broken”, rotto. E non hanno tutti i torti. Sebbene i fondamentali economici e geopolitici dell’America siano resistenti, le sue disfunzioni politiche si ripercuoteranno in tutto il mondo».
Non sorprende dunque che il mondo medesimo — non soltanto occidentale — sia spettatore alquanto interessato, come ha ricordato Paolo Valentino. Tanto più che, fino all’ultimo, i sondaggi hanno dato la sfida fra Harris e Trump come una fra le più in equilibrio di sempre. «Tutti i rilevamenti sono all’interno del margine di errore — conferma Andrea Marinelli —. Dalle medie dei sondaggi, l’ex presidente repubblicano sembra avere un leggero vantaggio, ma i rilevamenti degli ultimi tre giorni mostrano il rimbalzo della vicepresidente dopo settimane di appannamento». Gli Stati «in bilico» (swing States), quelli che, dato il complesso sistema elettorale, possono far pendere in modo decisivo la bilancia da una parte o dall’altra, sono sette: Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Carolina del Nord, Arizona, Georgia e Nevada. Bisognerà tenere d’occhio anche l’affluenza perché, scrive Mazza, «molto dipenderà dal numero di elettori «bassa propensione» (che non hanno mai votato o che di solito non lo fanno) che andranno effettivamente alle urne».
Ogni Stato ha propri sistemi di voto e di scrutinio, per cui è impossibile pronosticare a che ora si potrà avere con certezza il nome del vincitore (o della vincitrice). L’ipotesi più pessimista è che possano volerci giornise ci saranno intoppi nello spoglio o se saranno chiesti riconteggi (nel 2020, Biden fu proclamato vincitore soltanto il sabato, dopo l’assegnazione della Pennsylvania; nel 2016, invece, alle 3 del mattino italiano fu evidente che Trump sarebbe diventato presidente, con la vittoria in Wisconsin).
Per complicare le cose, gli americani voteranno anche per rinnovare tutti i 435 seggi della Cameradove il mandato dura due anni, e un terzo del Senatoquest’anno 34 seggi, dove il mandato ne dura sei. La possibilità che il nuovo inquilino/a della Casa Bianca si ritrovi con una maggioranza ostile al Congresso (oggi la Camera è a maggioranza repubblicana e il Senato a maggioranza democratica) è tutt’altro che remota, visto che in entrambi i rami si pronostica un ribaltone. In palio ci sono poi 11 poltrone da governatoremigliaia di cariche statali e locali, e come riferimento 150: i cittadini saranno chiamati a esprimersi sull’aborto in 10 Stati, in particolare negli Stati in bilico di Arizona e Nevada, in 4 sulla legalizzazione della marijuana e in Arizona per approvare misure più stringenti sull’immigrazione.
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