“Grande vittoria!”, ha esclamato con entusiasmo la leader dei deputati ribelli, Mathilde Panot, dopo il voto.
Il testo, presentato dal gruppo LFI nell'ambito della sua “nicchia” parlamentare, è stato approvato con 35 voti (quelli della sinistra e del Raggruppamento Nazionale), contro 16 (provenienti dalle file del centro e della destra). Verrà esaminato il 28 novembre in emiciclo.
La riforma, adottata nel 2023 sotto il governo di Elisabeth Borne per innalzare l’età iniziale a 64 anni, è “ingiusta dal punto di vista democratico e sociale, ed economicamente inefficace”, ha affermato il relatore (LFI) del testo, Ugo Bernalicis.
Il Raggruppamento Nazionale, che aveva presentato una proposta simile alla fine di ottobre – ma che la sinistra non ha sostenuto – ha votato a favore del testo. È “uguale al nostro e non siamo settari”, ha sostenuto Thomas Ménage (RN).
La proposta approvata mercoledì non riguarda solo l'età pensionabile (ovvero la riforma Borne), ma anche il periodo contributivo: si riduce da 43 a 42 rendite, il che equivale ad abrogare anche la riforma portata avanti nel 2013 dal ministro socialista Marisol Touraine durante il mandato quinquennale di François Hollande.
Un emendamento presentato dai centristi del gruppo Liot per preservare la riforma della Touraine è stato respinto. I socialisti, che avrebbero preferito mantenere questa riforma del 2013, hanno deciso nonostante tutto di approvare il testo complessivo.
“Nessun regalo!”
I rappresentanti della coalizione di governo, dal canto loro, hanno messo in guardia contro un testo “non serio” o “irresponsabile”.
“Dobbiamo essere onesti con i francesi: se questa riforma delle pensioni verrà abrogata, ovviamente potranno andarsene” prima, “ma con una pensione molto più bassa”, ha affermato la deputata macronista Stéphanie Rist.
Dopo questa prima vittoria di tappa della sinistra e del RN, tutti gli occhi sono ora puntati sul 28 novembre, giorno in cui il testo verrà esaminato in emiciclo.
In quest’ottica la destra e il centro continuano a valutare la propria strategia, secondo un deputato della coalizione Barnier.
“Alcuni chiedono di non andare al voto” in seduta, difendendo centinaia di emendamenti, per rallentare i dibattiti e impedire che il testo venga votato entro i tempi previsti, ma la tattica potrebbe essere “pericolosa in termini di immagine” , stima un funzionario eletto.
“Non molliamo, niente regali!”, anticipa un altro dirigente macronista, che difende questa strategia di ostruzionismo, consapevole che comunque l’ex maggioranza non ha molto da perdere su questo tema, dove ha da tempo assunto una posizione posizione che sa essere impopolare.
Al di là della data chiave del 28 novembre, la sinistra pretende di poter portare fino in fondo questa proposta di abrogazione: ha già previsto di inserirla all’ordine del giorno del Senato il 23 gennaio, in occasione di una nicchia comunista, poi in seconda lettura nell'Assemblea del 6 febbraio, questa volta in una nicchia dedicata agli ambientalisti.
L’abrogazione però non ha alcuna possibilità di successo al Senato, dove la maggioranza di destra e di centro aveva approvato la riforma Borne nel 2023.
Il testo Insoumis potrebbe addirittura essere giudicato irricevibile prima di essere messo ai voti, a causa dell'eccessivo onere che graverebbe sulle finanze pubbliche. Così è stato in primavera, quando la proposta di abolizione del gruppo socialista è stata respinta dalla commissione Finanze per questo motivo.