Wbenvenuto nella Sorellanza: convento di suore, scuola di perfezionamento, palestra psichica e thinktank politico in parti uguali. Gestito da sagge signore anziane vestite di nero austero, che educano giovani donne impulsive a diventare le sagge leader del futuro, il suo progetto è quello di allevare un’eroina che possa governare il pianeta natale della Sorellanza, così come tutti quelli vicini. Potrebbe semplicemente salvare l’umanità.
Tra 10 millenni, la Sorellanza diventerà le Bene Gesserit, un gruppo di donne con formidabili capacità di controllo mentale che compaiono nel libro Dune di Frank Herbert del 1965 e nei suoi adattamenti cinematografici: Rebecca Ferguson, Charlotte Rampling e Léa Seydoux hanno interpretato i membri della BG nel Denis Film di Villeneuve. Dune: Prophecy – un dramma in sei parti ispirato, in modo vagamente controverso, non alla scrittura canonica di Herbert, ma a un libro spin-off co-scritto da suo figlio Brian nel 2012 – fornisce la storia della fondazione del Bene Gesserit.
C’è però un retroscena da esplorare prima di poterci sistemare nei corridoi, nelle biblioteche e nei dojo della Sorellanza. Due generazioni fa, infuriava la guerra tra macchine senzienti e umani: in seguito, la Madre Superiora della Sorellanza emise un grave pronunciamento sul letto di morte, avvertendo di una resa dei conti, un terribile giudizio da parte di un potere tirannico. Solo il suo successore, Valya Harkonnen, poteva fermarlo. Ora Valya sta tramando per prendere il controllo dell’Imperium, il governo della regione, in un momento in cui il suo leader, l’imperatore Corrino, è stato indebolito da una disavventura militare. Ma proprio mentre pianifica la grande mossa della Sorellanza, sembra che la resa dei conti sia arrivata.
Dune: Prophecy, sviluppato da Alison Schapker e Diane Ademu-John, è dominato da donne a tutti i livelli. Oltre al fatto che i leader della comunità sono donne, anche personaggi chiave come la doppia agente ribelle Mikaela (Shalom Brune-Franklin), la potente chiaroveggente “dire la verità” Kasha (Jihae) e la vecchia fiamma dirompente dell’imperatore Francesca (Tabu) sono donne, cosa che sarebbe stato impensabile in uno spettacolo come questo se fosse andato in onda 20 o anche 10 anni fa, anche se uno squilibrio di genere al contrario sarebbe passato inosservato.
Ma la sua critica al patriarcato, in cui gli uomini al potere sono portati a fare la guerra come un modo per compensare la debolezza personale, è sottile – come lo è qualsiasi valutazione delle dinamiche di un’istituzione gerarchica tutta al femminile. Nella sua essenza, Dune: Prophecy è una saga fantasy molto simile a qualsiasi altra, anche se con un po’ più di attenzione e molto meno machismo.
Il dramma ruota attorno alla relazione tra Valya (Emily Watson) e sua sorella e secondo in comando, Tula (Olivia Williams), fratelli con temperamenti che stridono abbastanza da causare attriti perenni, ma non abbastanza da dividerli. Valya è la leader, irrequieta e ambiziosa, la sua compassione nascosta dietro diversi strati di realismo conquistato a fatica; Tula è la sua coscienza, priva dell’istinto omicida del fratello maggiore e cerca sempre di mitigarlo, senza necessariamente disapprovare del tutto. Watson e Williams, uno duro ma delicato e l’altro il contrario, si intrecciano perfettamente: ti rilassi nella pura qualità di entrambe le performance ogni volta che sono sullo schermo insieme.
L’interazione tra l’imperatore Corrino (Mark Strong), un militare che insiste per essere al comando ma vacilla nei momenti chiave, e la sua astuta moglie, Natalya (Jodhi May), che desidera prendere il comando e prendere a calci alcune persone nell’aria, è anch’esso affascinante. Ma questi delicati contrasti sono sufficienti, in particolare quando i primi episodi hanno un sacco di esposizione e costruzione del mondo da affrontare, la maggior parte delle quali avviene verbalmente? I primi episodi contengono sesso traditore e qualche morte spiacevole, ma anche le vittime sono cerebrali: i condannati incontrano il loro destino avendo visioni così vivide da rivelarsi letali, o – quando l’assassino è nella stanza con loro – tramite essere disposto a morire da un avversario con poteri mentali più forti dei propri.
Con gran parte del dialogo riguardante intuizioni psichiche, profezie criptiche, credenze religiose e strategie politiche, a volte Dune: Prophecy sembra uno spettacolo in cui le persone discutono di ciò che è accaduto e accadrà più di quanto non facciano accadere le cose da sole. Viene rallentato ulteriormente quando, dopo aver iniziato presentando brevemente la giovane Tula (Emma Canning) e Valya (Jessica Barden) in un preambolo fondante, si torna a questa sequenza temporale precedente in seguito, in scene che faticano ad aggiungere qualcosa di non già dimostrato. dai sé più anziani dei personaggi.
Dune: Prophecy ha un bell’aspetto, con il suo nitido stile monocromatico e la sua architettura piacevolmente aliena, quest’ultima basata sulle curve a forcina evocate dal carattere del titolo del franchise. Il mondo che costruisce – intenso, intellettuale, spietatamente meritocratico e tuttavia venato di imprevedibile e soprannaturale – è un modello per un tipo di fantascienza decisamente diverso. Ma c’è del lavoro da fare per superare questo avvio incerto.