Morte di Pierre Vernier, uno dei più grandi ruoli secondari del cinema

Morte di Pierre Vernier, uno dei più grandi ruoli secondari del cinema
Morte di Pierre Vernier, uno dei più grandi ruoli secondari del cinema
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Ci eravamo abituati, guardando i film cult del cinema francese, alla sua figura educata, ai suoi riccioli giscardiani ribelli, al suo contegno dolce e intelligente. Non sapevamo come si chiamava. Non sapevamo come facesse sempre in un angolo dell’immagine, accanto ai nostri eroi preferiti. Eccolo, ci ha appena lasciato. Il suo nome era Pierre Vernier e forse è giunto il momento di dire qualche parola su di lui.

Vernier è nato Pierre Rayer, nella Charente. Era andato al Conservatorio, classe 54, e lì si era fatto un bel gruppo di amici: Belmondo, Marielle, Noiret, Rochefort, Bruno Cremer, Françoise Fabian… Un anno infernale per il cinema e il teatro francesi, per usare un eufemismo. nessun dubbio a riguardo. Ben presto, dopo aver esordito con Jean Gabin, cominciò a farsi notare negli anni ’60. Tra il 1964 e il 1965, fu Rocambole, nell’adattamento televisivo della famosa serie romantica di Ponson du Terrail. Questa fama lampo difficilmente durerà, anche se la serie avrà molto successo, ma la “bocca” di Pierre Vernier non lascerà mai gli schermi.

Buona parte di questa celebrità anonima è dovuta al ruolo di “pagliaccio bianco” che interpreta, due passi dietro lo stravagante Jean-Paul Belmondo, in numerose occasioni. È così al fianco del suo vecchio amico Il Guignolo, Il professionista (Salvatore Volfoni, che prende una “castagna” da Josselin Beaumont), Stavisky, Il marginale, Il solitario, I Miserabili, Itinerario di un bambino viziato… La sua aria preppy piacerà anche all’elegante Valérie Lemercier, che lo interpreterà in tutti i suoi film, in particolare nell’eccellente Palazzo Reale. Infine, interpreterà il generale de Gaulle, nel 2008, in un film televisivo che gli valse il plauso della critica.

Morto Pierre Vernier, di questo gruppo del conservatorio, che si sarebbe potuto credere immortale, non resta che Françoise Fabian. Gli amici se ne andarono, uno dopo l’altro, a ridere e festeggiare nel paradiso degli artisti. L’atmosfera di questa Francia dei trent’anni gloriosi, culmine della civiltà, questa Francia che abbiamo tanto amato che le immagini d’archivio a volte ci fanno venire le lacrime agli occhi, si sta sfumando sempre più, in una sorta di nebbia modianesca. Siamo sicuri di averli vissuti, quegli anni belli in cui giravamo nel 504, zoppicavamo sul treno e quando il francese di città somigliava a Pierre Vernier?

Addio a questo grande ruolo secondario, che ci ha incantato per cinque decenni. C’è una nobiltà singolare, tanto più inconfutabile perché segreta, nel giocare in piena luce restando nell’oscurità. Pierre Vernier è l’erede di una lunga tradizione di attori di talento, che amavano solo il loro lavoro: rendere felici le persone. Se ne andò tranquillamente, con l’aria di un alto dirigente degli anni Settanta, in abito leggermente a zampa d’elefante, con un’andatura flessuosa e un po’ goffa, per raggiungere gli amici in un bar che non chiude mai. Potrebbero essere più felici di noi. È ora del buon vecchio Lautner.

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