Sollievo, speranza, amarezza, rabbia, ansia, paura dell’altezza. Mercoledì 15 gennaio tutti questi sentimenti, a volte contraddittori, si sono mescolati, dal Medio Oriente agli Stati Uniti, con l’annuncio di un accordo di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, tante volte auspicato e tante volte rinviato di quindici mesi. Questo accordo senza vincitori, frutto delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti, Egitto e Qatar, dovrebbe consentire, a partire da domenica, la fine dei combattimenti in territorio palestinese, dove sono state uccise più di 46.000 persone, e una liberazione graduale aumento del centinaio di ostaggi ancora nelle mani di Hamas (34 dei quali sono già morti, secondo Israele), dopo l’attacco senza precedenti del 7 ottobre 2023.
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Il testo, che dovrà essere ratificato giovedì mattina dal governo israeliano prima di entrare in vigore, prevede innanzitutto un cessate il fuoco di sei settimane e la possibilità per i civili palestinesi di spostarsi in tutto il territorio. Durante questa prima fase, centinaia di prigionieri palestinesi detenuti in Israele verrebbero rilasciati, in cambio della liberazione di 33 ostaggi detenuti da Hamas, tra cui due americani (bambini, donne, persone sopra i 50 anni, feriti e malati). Gli aiuti umanitari, in gran parte bloccati per mesi da Israele, dovrebbero affluire. Poi inizierà la Fase 2, con il rilascio dei restanti ostaggi e il ritiro completo delle forze israeliane dalla Striscia. La fase 3 rappresenterebbe l’avvio dei progetti di ricostruzione, una prospettiva ancora molto lontana.
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Belgio
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