Undici anni dopo il tragico massacro di 248 civili a Banias, nel villaggio di Beyda in Siria, i sopravvissuti parlano finalmente. Anadolu ha raccolto testimonianze commoventi di questo oscuro episodio perpetrato dal regime di Bashar al-Assad.
Avvenuto il 2 e 3 maggio 2013, questo massacro è uno degli atti di violenza più brutali commessi durante la guerra civile siriana. Secondo testimoni, le forze del regime, accompagnate da milizie filo-governative, hanno circondato il villaggio, effettuando sistematiche esecuzioni della sua popolazione.
Fin dall’inizio dell’attacco, gli abitanti del villaggio sono stati brutalmente raggruppati. Gli uomini furono confinati in piccoli spazi mentre le donne e i bambini furono rinchiusi nelle case vicine. Le esecuzioni, accompagnate da incendi per cancellare le prove, si intensificarono il giorno successivo, con violente intrusioni nelle abitazioni.
Storie strazianti raccontano questi orrori: alcuni abitanti del villaggio furono uccisi in modo barbaro, legati ai veicoli che viaggiavano nella direzione opposta. Il regime ha anche costretto Sheikh Omar, una figura locale, a fornire false testimonianze prima di giustiziare lui e la sua famiglia quando si era rifiutato. Questi eventi mostrano la brutalità e la strategia di oppressione sistematica del regime.
Abdessattar Khalil, che ha perso la fidanzata e la famiglia, racconta queste atrocità con parole agghiaccianti: “Hanno sparato al bambino di una madre perché non riusciva a calmarlo. Ho visto un padre costretto a scegliere tra la sua vita e quella di suo figlio. »
Anche Hassan Yahya Bayasi, un altro testimone, ricorda gli atti disumani: “Hanno bruciato vivi i residenti e ne hanno decapitati altri, commettendo ogni crimine immaginabile. »
Gli esperti ritengono che il massacro avesse lo scopo di seminare il terrore e manipolare le tensioni settarie per rafforzare il sostegno al regime. Nonostante l’orrore e la paura persistente, i sopravvissuti chiedono giustizia. Rawa Adnan, avendo perso diversi membri della sua famiglia, chiede giustizia giusta senza ritorsioni.
Oggi riappare il nome di Mirac Ural, miliziano filo-regime accusato di coinvolgimento in questo massacro. È anche sospettato di aver orchestrato l’attacco di Reyhanlı in Turchia nel maggio 2013. I sopravvissuti sperano nel sostegno internazionale affinché possa finalmente essere fatta giustizia per questi terribili crimini.
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