Donald Trump sta completando la sua terza campagna presidenziale, una situazione che non si vedeva dai tempi del democratico Franklin Roosevelt. Al di là della sua innegabile longevità politica, è ancora più sorprendente notare che Trump, che ha intrapreso la campagna elettorale quattro anni fa, l’ha sempre guidata come un outsider fingendosi un difensore della “Americani dimenticati”. C’è qui un doppio mistero, sul quale le analisi inciampano più che mai: perché Trump persiste e cosa farà se vincerà il 5 novembre?
Vediamo due ragioni principali. Innanzitutto lo stato del Partito Repubblicano, la cui debolezza organizzativa e la cui vacuità dottrinale sono evidenti dall’irruzione di Trump nel 2016. Vera bestia mediatica, il miliardario stava già mettendo a frutto le sue doti comunicative per conquistare la nomination repubblicana, nonostante alcuni ostacoli. I quadri del “Grand Old Party” (GOP) sono rimasti impotenti mentre Trump lo modellava a sua immagine. Nonostante la sua sottoperformance durante le elezioni di metà mandato del 2018, la sua sconfitta nel 2020 e il fallimento dei suoi candidati nel 2022, i funzionari repubblicani non sono stati in grado di rimuoverlo.
Il partito ha perso la sua bussola ideologica. A destra, molti che non sono mai stati Trump – influenti ex funzionari eletti, come Liz Cheney, o gli intellettuali pubblici David French e Bill Kristol – dichiarano che Trump non è un conservatore. Ma non riescono a scuotere il mix trumpista tra populismo di sinistra (protezionismo) e populismo di destra (immigrazione, lotta alla criminalità e nazionalismo) mescolato con la retorica reaganiana («Rendi di nuovo grande l’America» viene dalla campagna presidenziale del candidato Reagan nel 1980).
Posizione della vittima
Ma quest’ultimo ha offerto un felice ottimismo, assente in Trump. Con la sua retorica di «carneficina»sfrutta spudoratamente le paure di una base che ospita anti-immigrati, fondamentalisti religiosi, razzisti e isolazionisti. Riunita in una grande sintesi populista, questa coalizione ha spazzato via il vecchioestablishment repubblicano. Paralizzate dal peso della base trumpista, mentre una nuova generazione di funzionari eletti trumpisti emergeva durante le primarie, le élite repubblicane hanno messo da parte il loro orgoglio e hanno mantenuto un basso profilo, lasciando il partito aperto a manifestanti carismatici in cerca di capri espiatori.
In secondo luogo, la denuncia delle “elezioni truccate” dal 2020 si è rivelata un colpo da maestro. Ridicolizzato dalle corti di giustizia, è tuttavia diventato un mito mobilitante del trumpismo, persino una prova a grandezza naturale di lealtà al leader. Da allora, il ripetersi fino alla nausea di accuse di frode ha permesso a Trump di mantenere vivo l’entusiasmo della sua base elettorale, che in gran parte condivide la sensazione che la democrazia non gli appartenga più.
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