Una rivelazione sconvolgente sulla scena letteraria coreana degli anni ’90, Han Kang, 53 anni, è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura 2024. Il coronamento di una carriera eccezionale per questo scrittore totale dalla prosa intensa, perseguitato dai traumi della storia coreana.
Belinda Ibrahim (sito web dell’ICI Beirut)
Nata il 27 novembre 1970 a Gwangju, Han Kang è la figlia dello scrittore Han Seung-won. La sua infanzia e la sua scrittura saranno segnate per sempre dalla rivolta, repressa nel sangue, scoppiata nella sua città natale nel 1980, quando aveva 9 anni. Anche se la sua famiglia si era trasferita a Seul poco prima della tragedia, la scoperta casuale, all’età di 12 anni, di foto di vittime mutilate l’ha perseguitata a lungo.
Questo evento traumatico e altre pagine oscure della recente storia coreana permeano tutto il lavoro di Han Kang. Il massacro di Jeju del 1948, la dittatura militare e persino gli eccessi di potere sotto la presidenza Park Geun-hye sono tutte ferite sepolte che lei esplora senza concessioni.
Individui alle prese con la grande Storia, questo è il filo conduttore dei suoi romanzi. Quello che ritorna (2014) si inserisce direttamente nel contesto della rivolta di Gwangju, attraverso i vagabondaggi di un giovane alla ricerca dei suoi compagni scomparsi e di una donna alle prese con la censura. Addii impossibili (Premio Medici Esteri 2023) rivisita il massacro di Jeju.
Al di là delle tragedie nazionali, Han Kang esamina i traumi sepolti in ognuno di noi e la resilienza necessaria per superarli. Una “corrispondenza tra tormento mentale e tormento fisico”, sottolinea la giuria del Nobel, elogiando un’opera che “mette a nudo la fragilità della vita umana”.
Il corpo come metafora centrale
Al centro di questa esplorazione degli abissi dell’animo umano, il corpo occupa un posto essenziale. Come l’incarnazione fisica delle ferite psicologiche. Ricettacolo delle stimmate di una Storia violenta, specchio della vulnerabilità della nostra condizione, il corpo è la metafora centrale che attraversa tutta l’opera di Han Kang.
Ciò è particolarmente evidente in Il Vegetariano (2007), il romanzo che l’ha rivelata al mondo (Man Booker Prize 2016). L’ostinato rifiuto di mangiare della protagonista, il suo desiderio di mimetizzarsi nel mondo vegetale, sono descritti attraverso una lenta metamorfosi fisica. Il corpo ferito parla della ribellione intima e viscerale di una donna soffocata dalla camicia di forza sociale.
Più in generale, Han Kang fa del corpo il terreno di una “politica” in senso forte: uno spazio di resistenza e di autoaffermazione di fronte ai dettami esterni. Attraverso le sue trasformazioni estreme, il corpo esprime l’indicibile dei tormenti interiori e, in definitiva, la rivolta dell’essere contro ogni forma di oppressione.
Per Han Kang, il corpo è anche il luogo inquieto dove si incontrano i vivi e i morti, il fisico e lo spirituale. Molti dei suoi personaggi sperimentano un’inquietante porosità tra i propri contorni corporei e quelli dei loro cari defunti. Come un’incarnazione spettrale che offusca i confini dell’identità.
Corpi sofferenti, corpi ribelli, corpi abitati, corpi metamorfizzati… Tante variazioni attraverso le quali Han Kang sonda la complessità della psiche e il lato oscuro presente in ognuno di noi, facendo dell’involucro carnale un sismografo dei moti dell’anima.
Una scrittura poetica, cesellata, impegnata
L’originalità della prosa di Han Kang risiede nella sua miscela unica di poesia e crudeltà clinica. La sua scrittura, estremamente precisa, eccelle nel restituire nei minimi dettagli il lento disfacimento dei corpi. Ma questo realismo grezzo si trasforma facilmente in un fantastico mondo onirico, che ricorda il mondo di Haruki Murakami.
Poesia, violenza, politica: il linguaggio di Han Kang racchiude questa tripla sfida. Perché, sotto la finezza della sua penna, i suoi ritratti intimi e i suoi voli lirici, emerge sempre una tagliente critica alla società coreana e ai suoi tabù, che si tratti del conformismo soffocante, della repressione del passato o della questione femminista.
Questo impegno la portò anche a essere inserita in una “lista nera” di quasi 10.000 artisti, sotto la presidenza di Park Geun-hye, banditi dai sussidi pubblici per il loro atteggiamento critico. Ma Han Kang non ha mai rinunciato ad esplorare le zone grigie del suo Paese e dell’animo umano.
Uno scrittore totale, icona delle lettere coreane
Oltre ad essere un romanziere e uno scrittore di racconti, Han Kang è un artista proteiforme. Poeta precoce, è anche saggista, autrice di libri per ragazzi e un’appassionata conoscitrice di musica e storia dell’arte, tutte passioni che infondono il suo lavoro.
Questa tavolozza unica, combinata con la profondità della sua visione, la rende una “scrittrice totale”, una virtuosa sia del linguaggio che della psicologia del profondo. Una voce unica che si è affermata in tutto il mondo ed è diventata, attraverso le traduzioni, un’icona della letteratura coreana, allo stesso modo di Hwang Sok-yong o Ko Un.
Con il Premio Nobel per la Letteratura, Han Kang offre al suo Paese il primo riconoscimento supremo. Un simbolo forte per la Corea del Sud e per tutta la letteratura dell’Asia orientale. Ma, al di là di questo trionfo nazionale, questa incoronazione mette in luce un’opera davvero universale.
Perché, se Han Kang esamina con un bisturi l’anima coreana e i suoi tormenti sepolti, parla a tutti noi del dolore dell’essere al mondo, dell’intima crepa nelle nostre esistenze perseguitate dalla Storia con la sua grande Ascia. E la resilienza dell’individuo di fronte alla marcia folle del mondo.
Dietro le sue radici coreane e il suo virtuosismo formale, c’è la forza di Han Kang: una voce intensamente poetica e politica, che rende i nostri corpi e le nostre anime il teatro della condizione umana. Una voce oggi insignita del più alto riconoscimento letterario al mondo.