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Sammy Basso, addio al giovane-vecchio che non si è mai arreso in nome della ricerca

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Sammy Basso era affetto da una malattia genetica rara, anzi ultra rara, che colpisce una persona su circa 4-5 milioni di nati per una mutazione casuale che cambia una sola lettera del nostro codice genetico delle 3 miliardi che lo compongono. Basta solo questa lettera a cambiare il senso della vita di un essere umano: invece di invecchiare fisiologicamente come tutti, invecchia in modo accelerato. E così in poco tempo un bambino di 2-5 anni si ritrova in un corpo di un anziano con tutte le problematiche cliniche e sanitarie tipiche della persona di età avanzata. Ma la mente no, rimane quella dell’età anagrafica.

L’invecchiamento, da un punto di vista fisiologico, è definito come “il progressivo declino funzionale dei tessuti responsabile di un aumento del rischio di malattia o morte”. È un processo graduale e irreversibile che riguarda tutte le specie viventi e il cui progredire, in particolare nell’uomo, è facilmente identificabile anche a prima vista. Infatti, basti pensare alla comparsa dei capelli bianchi e delle rughe, alla perdita di massa muscolare e alle macchie sulla pelle.

Nonostante l’invecchiamento sia un fenomeno condiviso, non tutte le specie viventi lo manifestano allo stesso modo e nello stesso tempo. Alcuni insetti vivono poche ore, mentre le tartarughe delle Galápagos vivono dai 100 ai 150 anni. I ragazzi affetti da progeria come Sammy vivono in media 14-15 anni. Sammy ha vissuto 28 anni, un tempo lungo che gli ha permesso di vivere, studiare, conoscere, aiutare la ricerca. Sì, proprio la ricerca che Sammy amava al punto di diventarne protagonista non solo laureandosi in Scienze e lavorando in laboratorio, ma anche promuovendo la ricerca, stimolando le istituzioni, creando Associazioni e organizzando congressi, e soprattutto facendo conoscere al mondo la sua malattia. Quando, intorno al decimo anno di vita, comunicammo alla famiglia la conferma diagnostica leggendo il Dna di Sammy, eravamo consapevoli di dare nessuna speranza ai genitori. Cercai comunque di rincuorarli e incoraggiarli proprio perché dal 2002, con la scoperta che il gene Lmna quando mutato è responsabile non solo della progeria ma di altre malattie rare ad invecchiamento precoce, si aprivano in questo modo più possibilità di ricerca e di cura.

Sammy coraggiosamente ha accettato non solo di sottoporsi a queste nuove terapie, ma chiedeva, voleva sapere perché, cosa fa, questa medicina, e come potrebbe ritardare l’invecchiamento. Gli effetti della malattia sugli individui sono profondi, in particolare nel contesto del loro sviluppo cognitivo ed emotivo. Mentre i bambini con progeria mostrano caratteristiche fisiche di invecchiamento accelerato, le loro funzioni cognitive rimangono in genere intatte, portando a una giustapposizione unica di menti giovanili all’interno di corpi invecchiati. Sammy capiva che era diverso dagli altri coetanei e, nonostante avvertisse il peso emotivo, manifestava una notevole resilienza e adattabilità, promuovendo empatia e comprensione. L’interesse scientifico per la sua malattia ha fornito uno scopo per lui e la sua famiglia. Infatti, il coinvolgimento nelle sperimentazioni cliniche e nella ricerca ha senza dubbio aiutato Sammy a lasciarci l’iniziativa e la speranza. Forse proprio questa sua curiosità lo indusse a chiedermi di venire a Roma nel mio laboratorio per conseguire un dottorato di ricerca. Sammy non verrà, non potrà contribuire alla conoscenza di questa patologia e non potrà aiutarci a trovare una cura.

Il cammino della scienza è fatto anche di delusioni e dolori. Non è una sconfitta, ma un momento di riflessione. Che Sammy riposi in pace, e che tutti i grandi scienziati possano continuare il percorso verso la conoscenza.

* Università Roma Tor Vergata

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