Senza stupire del tutto, il XV di Francia batte con autorità i Pumas a Saint-Denis e chiude così la pausa autunnale imbattuto. Vale la pena festeggiare, vero?
Lo svezzamento sembra difficile. E se Fabien Galthié si dice «tossicodipendente» A “grandi serate del XV di Francia”siamo più o meno dipendenti dalla stessa cosa. Ora che lo Stade de France si sta svuotando dei suoi 70.000 abitanti, diciamo anche a noi stessi che in definitiva spetta al Rugby colpire una recinzione di morte improvvisa al momento del fischio finale, questo gioco è così traboccante di vita. Altrove è semplicemente la fine di una partita. Qui il tempo si ferma e nel lungo convoglio di spettatori tornati alla banalità delle giornate lavorative, ci sentiamo già orfani dei mille e uno piaceri di questa puntata autunnale.
Perché novembre è un mese bellissimo, per chi sa percepirne la luce: è il momento che il XV di Francia ha scelto di riposizionarsi, dopo tre successi che a priori non soffrono di alcuna disputa, come la migliore nazione europea ; incarna anche il trampolino di lancio di quell’atto 2 del mandato Galthié, dopo un 2024 meno esaltante dei precedenti, di cui innegabilmente c’è bisogno; è finalmente una promessa, un giuramento, “l’inizio di un viaggio durato tre anni”come riassunto nelle sue parole da un allenatore della Nazionale i cui baffi chevron sopravviveranno o meno in questa stagione che si sta lentamente consumando…
Ieri è alle spalle, domani è un mistero e allora godiamoci, un'ultima volta, quella che è stata la nostra quotidianità per un mese: celebriamo la faccia schietta, l'occhio buono e la mascella da cowboy di Paul Boudehent, anti Savea per eccellenza, comandante della l'esercito ombra, generale in capo degli straccivendoli ed esempio vivente di ciò che la forza d'animo può realizzare su un campo da rugby; cantiamo del volto da bambino di Louis Bielle-Biarrey, incarnazione contemporanea del levriero Philippe Bernat-Salles e miglior argomento a favore di un rugby che sogna di essere tanto un gioco di evitamento quanto uno sport di combattimento; rendiamo omaggio alla determinazione di Gabin Villière che, a forza di dimenticare che non ha alcuna possibilità, spesso lo dimostra “In caso di malinteso, può funzionare” ; ricordiamo il tocco di palla di Thomas Ramos, il cui talento nel trovare il “50-22” è un insulto a tutta la metratura del nostro piccolo mondo; lodiamo anche l'eccesso di Manny Meafou, la sua capacità di spingere in mischia alle spalle di un gigante allora in preda alla gastroenterite e la bestialità dei suoi “placcaggi positivi”, visto che così l'uomo li definisce con strano eufemismo personale dei Blues, quando le qualificazioni di “attacco”, “omicidio” o “esplosione” si adatterebbero ovviamente molto meglio al modo di difendere il gigante del Tolosa. Francamente? È stato bello, è stato bello e alla fine è finita come era iniziata: con una vittoria autoritaria, la gioia di uno stadio impegnato per la causa di questa squadra francese e, alla fine, la gioia pura di un popolo ovale che ha non è mai sembrata così vasta, così determinata è oggi a strappare il rugby dai suoi confini naturali: una settimana dopo aver raccolto 8 milioni di telespettatori per il Francia – Nuova Zelanda che sappiamo, la banda Dupont ha qualche ha così raccolto 7 milioni per l'Argentina, un manifesto che, per la generalità della sua comparsa e per il lato meno bancabile dei Pumas, non era mai stato destinato a impressionare il pubblico.
I Puma si sono contorti
Agli scettici e ai sofferenti di emicrania che ora condannano il nostro stupido rapimento, concediamo prontamente vari argomenti. Senza essere un “regalo” totale, il tour autunnale ha presentato per la prima volta al nostro vorace appetito un impero giapponese sull'orlo del collasso. A seguito di questa partita priva di ogni vero insegnamento, gli All Blacks si sono presentati a Saint-Denis dopo quattordici incontri di pari intensità e, soprattutto, due trasferte in Inghilterra e Irlanda durante le quali nel migliore dei casi si erano lasciati andare, nel peggiore dei casi lasciò la vita. Quanto a questi Puma di venerdì sera, irriconoscibili rispetto alla partita maschile disputata qualche giorno prima a Dublino, ci lasciano oggi con una certa perplessità. Questo perché è a posteriori assurdo, se non del tutto incoerente, giocare venti minuti di un test match di questa portata con una parte atrofizzata dei suoi membri. E poi, cosa è passato per la testa del tallonatore Julian Montoya, se non il nobile desiderio di rendere omaggio a questo demone di Tomas Lavanini, quando il capitano argentino ha distorto come ha fatto nella prima riorganizzazione della partita il corpo di Jean-Baptiste Gros, che ha dovuto abbandonare subito questo prato essendo riuscito piuttosto bene fin dall'inizio del giro? Come legittimare, inoltre, l'errore commesso una manciata di tempo dopo, vale a dire nel momento in cui Juan Martin Gonzalez lanciò deliberatamente la palla fuori limite, condannando di fatto i Pumas a giocare altri dieci minuti in inferiorità numerica? Non che gli argentini, allo stremo delle loro forze a Saint-Denis, sarebbero stati capaci di rovesciare ad armi pari il XV di Francia, visto che i loro attacchi rimbalzavano eccessivamente su un muro tricolore meno ingenuo di quanto non fosse stato una settimana prima, contro gli All Blacks. Ma senza tanto angelismo e ingenuità, quest'ultimo scontro tra latini non si sarebbe risolto a metà, come lo era prima.
Arte della contromisura e pragmatismo: e allora?
Se siamo un po' arrabbiati con i sudamericani per aver involontariamente privato questa partita internazionale del caos narrativo che solitamente caratterizza questo tipo di incontri, riconosciamo tuttavia in Felipe Contepomi, l'allenatore opposto, il senso della sintesi. E poiché al momento di concludere l'anno di un XV francese sconfitto due volte nelle undici partite che avrebbe dovuto giocare nel 2024, ci siamo tutti chiesti se il gioco dei Blues si fosse, in un modo o nell'altro, evoluto secondo il cambio di regole recentemente avviato dal World Rugby, il divino calvo ha avuto questa risposta criptica: “Da luglio abbiamo affrontato i francesi tre volte. leuro la strategia generale è la stessa: tre partite, tre volte la stessa cosa. D'altra parte, essoCiò che è cambiato è che Dupont, Fickou, Ramos e gli altri non c'erano, l'estate scorsa…» Contrariamente a quanto tendono le altre squadre del circuito internazionale, la selezione francese ha dal canto suo scelto di morire per le idee, diventate improvvisamente sovversive, dopo aver segnato il primo mandato di Fabien Galthié. Quando l'avversario lotta per il possesso palla, la freddezza francese in zona gol ricorda ciò che fece Didier Deschamps, all'epoca della sua onnipotenza alla guida dell'undici tricolore. Tuttavia, se il ” sentiero “ ciò che Fabien Galthié evoca costantemente deve essere talvolta duro per i passanti come i gradini del Sacro Cuore, siamo tuttavia pronti a seguirlo. A patto che conduca, ovviamente, a qualcosa di diverso da un semplice bagliore autunnale…
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