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Il calcio svizzero ha bisogno di un tetto per la sua grande famiglia
Ancora senza centro di prestazione nazionale, la squadra svizzera viene sballottata da un albergo all’altro. Un problema che non viene preso sul serio.
Editoriale Inserito oggi alle 8:07
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Quando i giocatori della squadra francese arrivano a Clairefontaine, non importa se indossano stivaletti Prada o ciabatte Sergio Tacchini, vengono subito coinvolti nella storia. Il luogo è sacro, nutrito di mitologie, dove ogni angolo racconta un aneddoto.
Prima di loro, da Platini a Zidane, tutti sono passati da queste grandi porte che richiamano all’ordine: nessun giocatore è al di sopra dei Blues.
Qui i milionari in tacchetti sono soprattutto compagni di squadra. Condividono la camera da letto, il bagno e i pasti. Per ricordare meglio che la maglia che indossano non è proprio come le altre.
Il bucolico Château des Yvelines, alle porte di Parigi, ne è un simbolo. Una casa del calcio, che riunisce tutte le selezioni, maschili e femminili, aspiranti e professionisti.
Quasi ogni paese d’Europa ha costruito un tempio dedicato al re dello sport. Perché è logisticamente interessante, certo, ma soprattutto perché partecipa attivamente alla diffusione di una cultura del gioco nazionale.
La Svizzera, quindi, secondo le nostre ultime informazioni, aspetterà ancora. Credere che possa finalmente vivere piuttosto comodamente, sballottata da un palazzo all’altro, a seconda della convocazione sotto la bandiera.
Si tratta, però, effettivamente di una questione cruciale di coesione, in un Paese dove competono (almeno) quattro lingue e altrettante sensibilità: un luogo per unirci tutti, un faro al di là delle individualità e delle epoche.
Se la generazione d’oro del calcio svizzero non se la passa poi così male nell’ultimo decennio, bisogna innanzitutto vederla come il risultato di una felice coincidenza ciclica, che ha riunito sullo stesso foglio di calcio una quantità senza precedenti di talenti.
Dietro le quinte, ancora e ancora, manca la visione politica. Sembra che non saremo mai davvero un Paese calcistico.
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