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Le parole del Poilus | FranciaInter

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Se esaminiamo i milioni di lettere che si scambiarono durante il Der des Ders, vediamo che i Poilus avevano creato una lingua propria… Una lingua piuttosto affascinante da scoprire, perché simile a una sorta di achillea composto da vari strati. Lì troviamo il francese popolare della periferia parigina, il vocabolario slang tipico delle trincee, ma anche il francese “ordinario” usato quotidianamente, sia in città che in campagna. Per preparare questa rubrica, ho riletto un'opera monumentale scritta da Pierre Rézeau, un'opera intitolata “Le parole dei Poilus nelle loro corrispondenze e nei loro quaderni”, pubblicata dalle Editions de Linguistics et de Philologie de Strasburgo nel 2018, in occasione di il centenario della Prima Guerra Mondiale.

Leggendolo, ciò che mi colpì particolarmente fu la creatività e l'umorismo nero dei soldati di fronte alla violenza del fronte. Prendiamo l'esempio delle conchiglie. Nel suo dizionario, Pierre Rézeau elenca più di cinquanta termini per designare questi proiettili esplosivi: “cartoline”, “cavolfiore”, “bambini”, “pentole” o anche “salsicce”. Questi nomi, avete indovinato, sono ispirati tanto dalla forma delle conchiglie quanto dai rumori che producevano quando esplodevano. Qui la metafora diventa strumento di presa di distanza e di riappropriazione di una realtà terrificante.

I soldati della Guerra 14 provenivano dai quattro angoli della Francia e parlavano tutti dialetti diversi. Ha lasciato segni?

Per molti Poilus, parlare francese era un atto di patriottismo, perché era la lingua che avevano imparato a scuola e non la lingua della loro vita quotidiana. Di fronte a questa situazione, i soldati non sempre conoscevano la parola giusta in francese e la prendevano volentieri in prestito dal proprio dialetto per farsi capire dai compagni. Prendiamo ad esempio la parola “fango” – una parola che si riferisce alla terra fradicia, onnipresente nelle trincee, con cui i soldati convivevano ogni giorno. Al Sud sporcarsi nel fango si chiamava “sporcarsi”. Al Nord si parlava di “berdouille”. A Lione il fango divenne “gabouille” e a Parigi fu la parola “gadoue” a diventare popolare. In Vandea, un Poilu coperto di fango veniva chiamato “frambou”. Nell'Ain, la pozzanghera di fango o pantano veniva chiamata “gouille”, nell'Ille-et-Vilaine si parlava di “marouillas”, nell'Aube di “patouillat”.

E questa creatività continua a influenzare il nostro linguaggio…

Molte delle espressioni del Poilus hanno resistito alla prova del tempo. Ancora oggi si continuano ad usare parole come “pinard” (parola del dialetto borgognone per indicare un vino di scarsa qualità), “gnôle” (parola della regione di Lione che designa l’alcol forte), “succo di calza” (o “hat juice”) (un caffè la cui qualità lascia a desiderare)… Tutte queste parole e tante altre comprese le vestigia di questo slang del fronte. Parole rese popolari dai Poilus, parole che ci ricordano il loro coraggio, ma anche l'incredibile ricchezza della nostra lingua.

In questo 11 novembre è un bellissimo omaggio ricordare ciò che hanno trasmesso, al di là della guerra. Attraverso le parole e le espressioni presenti nelle loro lettere, ci lasciano una lezione di umanità e condivisione, dove il linguaggio diventa molto più di un semplice mezzo di comunicazione.

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