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Censura della ricerca accademica sulla democrazia attorno al libro di Séverine Awenengo Dalberto

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Il libro di Séverine Awenengo Dalberto, che ho avuto il tempo di leggere, è ben lungi dall’essere il pezzo forte che la gente vuole presentarci! Negli ultimi anni, il “pluriversalismo decoloniale” ha portato molti ricercatori, sia africani che europei, a mettere in discussione la formazione e la produzione della conoscenza senza dover giustificarsi o rischiare di apparire come impostori.

Affidarsi a teorie del complotto o ad argomenti misogini e razzisti è la postura più semplice per imporre una posizione, influenzare l’opinione o promuovere una censura inconcepibile in una democrazia che si pretende aperta e maggiore. Questa censura contribuisce al particolarismo di Casamance, alimentando gli “immaginari” che questo libro cerca di decostruire. Partecipa anche alla servitù intellettuale alla quale la politica cerca di costringerci. Questa minaccia pesa non solo sulla professione dello storico, ma su tutte le scienze umane e sociali, segnando un declassamento della produzione intellettuale.

Strumentalizzare un oggetto di ricerca equivale a costruire una narrazione parziale, molto più pericolosa che vietare semplicemente la commercializzazione di un libro – che, paradossalmente, beneficia di una maggiore promozione – in un Paese dove pochi leggono e in un contesto in cui le piattaforme digitali facilitano la diffusione di pubblicazioni. Al punto che alcuni testimoni che hanno partecipato ai lavori sono oggi titubanti, citando una temporalità poco adatta al contesto attuale del Senegal. Mi associo a quanto dice Mbougar Sarr a proposito del tempo: non esiste un momento ideale per pubblicare. Il tempo politico non è quello della scienza, né più del tempo che ritma la società. Questa ricerca è iniziata nel 2000 e alcuni aspetti sono già stati oggetto di pubblicazioni dello stesso autore e di altri colleghi ricercatori.

Criticheremo Armelle Mabon per il suo libro sul massacro di Thiaroye? Certamente no! La posta in gioco è un’altra: il Senegal dovrebbe, su questo tema, esigere la declassificazione dei rapporti militari affinché questa storia sia conosciuta e la Francia paghi i suoi debiti materiali e morali.

Per tornare al punto, questo libro, di cui non farò una nota di lettura, mette in discussione la storicità dell’idea di autonomia della Casamance nell’immaginario coloniale. Le fonti utilizzate (archivi che offrono diverse interpretazioni) contribuiscono a formare e fissare l’unità territoriale del Senegal. L’idea di autonomiasostenuto dal punto di vista utilitaristico ed economico dai coloni, in cambio nutre il immaginario della “differenza casamançaise” che consolida. Il rifiuto dell’autonomia viene costantemente riaffermato, perché essa serviva soltanto alle ambizioni personali, politiche ed economiche. L’autonomia resta quindi un’ipotesi teorica; le politiche attuali ricordano per molti versi le misure messe in atto per stabilire l’unità territoriale e il radicamento della Casamance in Senegal.

Osserviamo una concordanza tra le politiche di apertura e di sviluppo del potenziale economico, che hanno fruttato alla regione il primo piano quadriennale del Senegal nel 1959 e, più recentemente, i grandi programmi di investimento degli ultimi vent’anni. Le successive politiche di decentramento si basano su questa autonomia dei territori che li rende possibilità territoriali. L’Atto III del decentramento lo stabilisce attraverso tre di questi principi: sussidiarietà, perequazione e autonomia di ciascun ente locale. C’è una differenza, più che concettuale, tra autonomia e indipendenza.

Racconterò il contributo degli eletti della Casamance alle manifestazioni politiche: il loro voto per il “Sì” all’indipendenza del Senegal rivela l’unicità della nostra storia politica e sociale. Cosa spaventa nell’interpretazione degli archivi e delle fonti storiche: la riattivazione dell’immaginazione sul collegamento della Casamance a Sine-Saloum, o lo sforzo di costruire una storia e produrre una storia che ci liberi da ogni tipo di mistificazione?

Prof. Fatoumata HANE, socio-antropologo, UASZ

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