Quando due mesi fa, il maresciallo capo Valérie mi ha proposto un lancio in tandem con i paracadutisti del 2° RPIMa, è stato difficile dirle di no. Questi sono il tipo di opportunità a cui non dovresti lasciarti sfuggire. Questo lunedì mattina mi sono alzata all’alba per vivere questa esperienza adrenalinica. Narrativa.
Sono le 6:00 del mattino. Davanti al cancello del 2th Reggimento paracadutisti di fanteria di marina, presso la caserma Chef de Bataillon Dupuis, a Saint-Pierre, sto aspettando. Non ho molta fretta di raggiungere l’hangar situato al limite della pista dell’aeroporto di Pierrefonds, confinante con la caserma. Lì i paracadutisti si preparano a lanciarsi, alcuni per la prima volta. Altri devono completare uno dei sei salti annuali obbligatori. Questa mattina sono previsti sei lanci, tra cui Charlie 3, mina in tandem, a 4000 metri di quota, sopra Étang-Salé.
Il briefing si è improvvisamente accelerato per me. I primi due Charlie, le prime due gocce, non accadranno. Il vento al suolo è stato misurato al di sopra dei 3 m/s (metri al secondo) autorizzati per i principianti. La Casa de la BA 181 ritornò piena di suoi contendenti per il brevetto di paracadutista. Per fare ciò, dovranno convalidare, durante un corso di 15 giorni, sei salti con apertura automatica a 400 metri di altitudine.
È quindi ad un’altitudine dieci volte superiore che cadremo. Salterò in tandem con il maresciallo Cédric, l’ufficiale delle truppe aviotrasportate all’interno del 2th RPIMa. Con 3000 lanci al suo attivo e parte della carriera trascorsa all’interno del prestigioso Parachute Commando Group (GCP), uno dei componenti dello Special Operations Command (COS), sono in buone mani.
Sarò collegato alla sua attrezzatura grazie ad un’imbracatura e quattro punti di attacco, per me a livello delle scapole e dei fianchi. Ogni anello metallico può supportare 2,5 tonnellate. Abbastanza per partire con fiducia.
Le regole si danno sul campo. Per accedere alla rampa della Casa dovrò piegare le gambe in modo che l’aiutante abbia una visione chiara, perché abbiamo più o meno la stessa statura. All’inizio del salto le mie mani dovrebbero tenere l’imbracatura all’altezza del petto, le gambe piegate all’indietro, finché non tocco il suo sedere con i talloni.
E per l’atterraggio devo mettere le mani sotto le ginocchia e sollevarle il più possibile, fino al petto.
Sapendo che la mia flessibilità è simile a quella di un manico di scopa durante le mie fin troppo rare sessioni di yoga, temo di non riuscire a fare tutto alla perfezione.
L’aereo ci aspetta, con i motori accesi. Ci sediamo sulle panchine appena comode e allacciamo le cinture di sicurezza. L’aereo si allinea sulla pista 15, di fronte a Saint-Pierre, quindi decolla. Durante la salita, il maresciallo Cédric e il maggiore Bruno, con più di 10.500 salti al suo attivo, danno le ultime raccomandazioni ai caduti che eseguono il loro salto di apertura ritardato, OR in gergo. Se il vento viene misurato a 6 m/s al suolo, supera gli 11 m/s a 1500 metri di altitudine. Non dovrebbero sorprendersi quando si avvicinano a “Samwest”, il nome dato alla zona di salto nella foresta di Étang-Salé.
La rampa posteriore che si era abbassata per farci salire si riapre, ma questa volta a quasi 4000 metri di quota.
A causa delle difficili condizioni meteo i passaggi saranno due. Saremo al secondo.
La luce rossa si spegne, si accende la luce verde. Suona il campanello. Il primo a partire si ritrova sdraiato su una grande PeliCase, queste valigie particolarmente rinforzate destinate in particolare al trasporto di attrezzature sensibili. Un adesivo su di esso indica che ha una massa di 101 chili. Aiutata dall’aiutante e dal maggiore, la scatola su ruote viene spinta con il suo paracadutista fuori dall’aereo. È necessario possedere una qualifica speciale chiamata guaina pesante, o CL13. Poi segui gli altri caduti.
L’aereo quindi effettua un’inversione a U per riposizionarsi. L’aiutante mi fa cenno di alzarmi. Si aggrappa a me e stringe tutte le cinghie che ci legano. Ci spostiamo verso la rampa. Saremo i penultimi a saltare per questo passaggio.
La vista che passa davanti ai nostri piedi è allo stesso tempo magnifica e spaventosa. Fortunatamente l’elmetto del Maggiore è dotato di una telecamera. Il nostro salto lo faremo guardando l’aereo partire, con le spalle al vuoto immenso, che ci riprende.
In una frazione di secondo siamo in caduta libera. Rimango concentrato sulle raccomandazioni fornite durante il briefing. Tengo i gomiti stretti lungo il corpo, le mani all’altezza del petto. Le mie gambe sono piegate all’indietro. Il vento ti sferza il viso e gli occhiali sono indispensabili. L’aiutante cerca di comunicare con me a gesti ma io rimango concentrato. È quando vedo il maggiore che mi saluta che mi rendo conto che siamo ancora filmati.
Assaporo il momento che prima non ero riuscito a trovare. Da giovane studente, prima di essere tra gli ultimi a svolgere il servizio militare, ho provato a fare paracadutismo presso il Para Club Borbone. All’epoca, Loïc Jean-Albert era tra i migliori al mondo e atterrò direttamente sul prato davanti all’hangar, con una pantofola a due dita. Ho saltato a 1500 metri in apertura automatica. Si tratta di una cinghia collegata all’aereo che permette di sganciare il paracadute dalla sua sacca. A dire il vero, tre salti dopo, ho capito l’ovvio: il paracadutismo non fa per me.
Alcune rotazioni a destra e a sinistra e la vela si apre. Il tempo si ferma, per un attimo. Mi godo il paesaggio a 360 gradi. I miei occhi divorano la Réunion, dal Piton de la Fournaise in lontananza al Piton des Neiges, passando per le creste che salgono a Dimitile. Sotto i nostri piedi, le quattro corsie, dove i veicoli sfilano verso Saint-Pierre o verso la Route des Tamarins.
Ma presto il terreno si avvicina. A 500 metri di quota ripeto la procedura di atterraggio un’ultima volta. Afferro le ginocchia e provo a portarle al petto. La rotondità del mio adbo mi fa dire che dovrei fare sport. Non c’è più tempo per procrastinare. Dopo un’ultima svolta verso Saint-Pierre, atterriamo dolcemente. Sul mio viso appare il sorriso di una fetta di papaya.
Questi piloti in tandem non sono una legione. Prima di potersi candidare, il saltatore deve avere un minimo di 700 salti ed essere in operazioni o istruttore. Poi arriva una drastica selezione di 20 salti. Il minimo salto mancato è eliminatorio. Perché l’obiettivo del lancio in tandem è quello di poter mettere in funzione persone lontane dal paracadutismo, come ad esempio un conduttore di cani e il suo animale, un medico o uno specialista dell’intelligence. A differenza dei paracadute convenzionali destinati principalmente a rallentare, la loro calotta permette loro di percorrere talvolta fino a trenta chilometri.
La festa di San Michele, il 29 settembre, è la festa del santo patrono dei paracadutisti. In questa occasione i lanci vengono organizzati in modo che, per quanto possibile, tutto il personale militare certificato possa lanciarsi nei mesi circostanti questa data. I piloti tandem devono eseguire almeno 60 lanci all’anno, di cui 25 in tandem. Salti che vengono offerti mediante sorteggio tra le persone che lo desiderano, o su invito del reggimento. Un invito che non ho rifiutato.
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