In Oh, il CanadaPaul Schrader decostruisce in piccoli, incisivi tocchi il concetto di “l’uomo dietro l’artista”. Elegiaco e lucido al tempo stesso, il film ha come protagonista un documentarista morente che fa il punto sulla fine della sua vita… davanti alla telecamera dei suoi ex studenti. Si chiama Leonard Fife ed è una figura emblematica della sinistra. La sua reputazione però è fondata su una bugia, come confessa in primo piano. Presentato in concorso ufficiale a Cannes, Oh, il Canada segna la riunione tra Schrader e Richard Gere, protagonista del suo successo del 1980, Gigolò americano (Il gigolò americano).
Il film è tratto dal penultimo romanzo di Russell Banks, autore la cui opera Paul Schrader aveva già visitato con notevole Afflizionenel 1997. In quella che si distingue come una delle ultime annate del regista, Richard Gere offre una performance che è allo stesso tempo toccante e affascinante: senza dubbio una delle migliori della sua lunga carriera.
Va detto che Schrader, in fondo uno sceneggiatore immenso (Tassista / Tassista ; Toro scatenato / Come un toro selvaggio), lo vizia quando si tratta di partizione.
Pieno di contraddizioni (un idolo della sinistra che vive in una villa), Leonard è un uomo in fuga: in fuga dalle sue vite passate, in fuga da se stesso… Secondo la versione ufficiale, un tempo emigrò clandestinamente in Canada per non andare a combattere in Vietnam. Un uomo di convinzioni. Veramente ?
Tuttavia, ben prima di questo episodio, Leonard era già in fuga… ma chi? Che cosa ?
Costruita interamente su flashback e ricordi frammentari, la struttura vede l’anziano protagonista (Gere) emergere nelle sue reminiscenze, osservando con distacco il giovane che era (Jacob Elordi). A volte, questo Leonard del presente sostituisce completamente quello del passato: un modo per Paul Schrader di mostrare che Leonard sta fuggendo, proprio e letteralmente, nei suoi ricordi.
È solo alla fine che Leonard smetterà di nascondersi e affronterà questo inganno che un tempo trasformò la sua esistenza in un vasto inganno.
Completamente solo
Paradossalmente, mentre Leonard si propone di sfatare il proprio mito, alcuni si rifiutano di farlo: abbiamo a cuore i nostri eroi, anche se si scopre che sono tutt’altro che eroici. Adducendo che Leonard forse non ha più tutte le sue facoltà, Emma (Uma Thurman), la sua terza moglie (il film ci tiene a precisarlo), preferirebbe rimandare a casa i documentaristi. Ma Leonard insiste: dirà la verità, per la prima volta, per l’ultima volta.
Per quanto riguarda questo terzo matrimonio: il temperamento volubile di Leonard si stabilisce in vari momenti flashbackcome quella che lo mostra mentre ha una relazione con la compagna del suo migliore amico (il film ci tiene a precisarlo, bis), coniuge interpretato nuovamente da Uma Thurman. Decenni dopo, Leonard si innamorò di Emma a causa della sua somiglianza con questo ex amante? Questa è una delle tante considerazioni secondarie che la fitta trama solleva.
In ogni caso, davanti alla telecamera venuta a immortalare le sue confidenze, Leonard è completamente solo. Questo, come la maggior parte dei suoi predecessori presso Paul Schrader, per i quali l’uomo rinchiuso nella solitudine è più che una figura ricorrente, ma un marchio di fabbrica, come ci ha confidato in un’intervista il principale interessato.
Sapendo che non siamo mai così soli come di fronte alla morte, Oh, il Canada costituisce forse l’opera finale dell’unico uomo “schraderiano”.
Sguardo penetrante
Una cosa è certa: a differenza del suo antieroe morente, Paul Schrader mostra una felice “salute cinematografica” a 78 anni. Questo, dopo aver quasi ceduto al COVID poco prima di affrontare Oh, il Canadagirato in fretta e con un budget esiguo, ancora una volta, dixit il regista.
Unendo la sua audacia formale degli anni ’80 (Gente gatto / Il felino ; Mishima: una vita in quattro capitoli ; Il conforto degli sconosciuti / Strana seduzione) allo spoglio “bressioniano” dei suoi film più recenti (Primo riformato / Dialogo con Dio ; Il contatore delle carte ; Maestro Giardiniere), Schrader assegna inoltre a ciascuna epoca o strato di memoria il proprio rapporto di immagine (1,33:1, 2,39:1…) e la propria tavolozza cromatica. In modo che, nei tortuosi memoriali di Leonard, non siamo mai perduti.
Non tutto funziona alla perfezione, come l’improvviso e momentaneo spostamento dell’attenzione sul figlio di Leonard. Da notare: la presenza della quebecchese Caroline Dhavernas, schiva e tanto più precisa nel ruolo dell’infermiera di Leonard.
Qua e là Schrader cita i suoi maestri. Oltre a Bresson, troviamo Dreyer, Welles (ah, quell’inquadratura e quel sussurro, proprio alla fine)… I cinefili hanno molto con cui tenersi occupati. E così con uno sguardo penetrante, ma non privo di empatia, Schrader smaschera un grande artista dietro il quale si nascondeva un uomo piccolissimo.