una nuova era di cooperazione dopo la chiusura della base militare

una nuova era di cooperazione dopo la chiusura della base militare
una nuova era di cooperazione dopo la chiusura della base militare
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Con l’annunciata chiusura delle basi militari francesi in Senegal e Costa d’Avorio, un forte simbolo della storica presenza di Parigi nell’Africa occidentale sta scomparendo. Ma questa riconfigurazione potrebbe anche essere un’opportunità per ridefinire le relazioni tra la Francia e il continente africano, adottando un approccio più equilibrato e rispettoso delle aspirazioni locali.

Verso la cooperazione senza supervisione

Per decenni, la presenza militare francese in Senegal è stata vista come uno strumento di controllo oltre che di partenariato. La base militare francese, drasticamente ridotta da Abdoulaye Wade nel 2010, originariamente percepita come garante della stabilità nazionale e leva di influenza strategica per la Francia, è stata oggetto di critiche negli ultimi anni per la sua connotazione neocoloniale. La sua chiusura definitiva segna una svolta simbolica, rispondendo al desiderio del nuovo regime senegalese di esercitare la propria sovranità.

In questo contesto, la Francia deve ripensare la sua cooperazione. Invece di concentrarsi su un approccio di sicurezza militare, Parigi potrebbe ampliare il proprio raggio d’azione verso aree più inclusive e costruttive. Istruzione, infrastrutture, cultura e transizione energetica sembrano essere assi strategici per rafforzare i legami tra le due parti.

Reinventare la “mentalità” delle élite francesi per una partnership duratura

Con il ritiro definitivo della presenza militare francese sul suolo senegalese, la Francia si trova ad affrontare una grande sfida: ricostruire i suoi legami con un paese che è molto cambiato.

Abbandonare i riflessi paternalistici

Per decenni, la politica della Francia in Senegal si è basata su un rapporto asimmetrico, caratterizzato da un paternalismo latente. Quelli erano i tempi. Per molto tempo si è percepita, e fino a tempi molto recenti, come la “Metropoli”, addirittura la guida di questo territorio ex colonizzato. Questo atteggiamento è diventato obsoleto in un Paese in cui l’affermazione della sovranità nazionale e la diversità dei partenariati internazionali sono realtà inevitabili. Il metodo, percepito come paternalistico e disconnesso dalle realtà locali, alimenta il risentimento.

Il cambiamento di mentalità deve passare attraverso un riconoscimento esplicito di questa dinamica. Le élite francesi devono liberarsi dell’idea che la Francia sia essenziale per l’Africa. Oggi, il discorso che si sente sempre di più è che è tempo di trattare i paesi africani come partner uguali e sovrani, capaci di prendere le proprie decisioni, anche se queste vanno contro la Francia o sono considerate tali.

Due esempi da citare.

Nel marzo 2022, all’ONU, il Senegal ha fatto reagire gli osservatori francesi con la sua posizione in una risoluzione intitolata “Aggressione contro l’Ucraina”, il cui testo chiedeva “che la Russia cessi immediatamente di usare la forza contro l’Ucraina e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue forze forze militari” dall’Ucraina. Il Senegal (come altri 11 paesi africani) si è astenuto. Nel 2014 ha adottato lo stesso atteggiamento riguardo alla crisi tra Crimea e Russia. Si trattava del desiderio di affermarsi diversamente sulla scena internazionale o del desiderio di calmare gli animi a livello regionale e locale? Anche. Alcuni osservatori non hanno mancato di reagire, come Nicolas Henin (giornalista), postando sul suo account X: «Piccola inversione del Senegal, che alla fine ha votato al Consiglio dei Diritti Umani a favore di una commissione d’inchiesta internazionale indipendente dopo l’aggressione della Russia contro l’Ucraina”, sembrando ignorare che questo paese, anche se alleato del blocco occidentale e della Francia in particolare, è rimasto nella sua logica di adottare una strategia di non allineamento dai tempi della Guerra Fredda. Sebbene le ripercussioni economiche siano state talvolta avvertite a livello locale, si tratta principalmente di un conflitto lontano che si svolge al di fuori del continente.

Umiltà di fronte ai nuovi equilibri geopolitici

Le élite francesi devono riconoscere che il potere della Francia in Senegal è in declino. Da lì, deve accettare “nuove” alleanze e non considerare tali decisioni come un tradimento, ma come una scelta sovrana in un mondo multipolare. Adottare un atteggiamento umile di fronte a questa realtà non è un’ammissione di debolezza, ma una prova di maturità.

Ciò implica non percepire più i partner del Senegal (soprattutto Cina, Russia, Turchia) esclusivamente come concorrenti, mentre i “sovranisti” o “panafricani”, secondo la terminologia, danno l’impressione di invocare una “Francia libera” al posto delle altre potenze . La Francia potrebbe esplorare sinergie in progetti tripartiti, in cui ciascun partner contribuisce con i suoi punti di forza specifici.

Riconoscere i fallimenti passati

Qualsiasi rapporto è duraturo solo se si basa sulla fiducia. E per riconquistare la fiducia, la Francia deve riconoscere pienamente i suoi errori storici. Lo stigma della colonizzazione, le pratiche opache della Françafrique e i controversi interventi militari continuano a pesare pesantemente sulla sua percezione tra la stragrande maggioranza dei giovani.

La restituzione delle opere d’arte saccheggiate, avviata ma ancora incompleta, deve essere accelerata e accompagnata da una cooperazione rafforzata con le istituzioni culturali. Allo stesso modo, la declassificazione degli archivi legati ad alcuni periodi delicati della storia franco-senegalese sarebbe un segnale di apertura e trasparenza.

Ma questo riconoscimento deve andare oltre i simboli per tradursi in politiche concrete. L’istituzione di programmi educativi congiunti potrebbe consentire di costruire una visione condivisa ed equilibrata della storia.

La nuova partnership win-win: dopo la chiusura della base francese

Con la chiusura definitiva della base militare francese a Dakar, il Senegal avvia una ridefinizione strategica dei suoi partenariati internazionali. Questo punto di svolta segna un chiaro desiderio di affermare la propria sovranità impegnandosi in collaborazioni eque e reciprocamente vantaggiose. Ma cosa apporta realmente il Senegal a questo nuovo modello di partenariato?

Una posizione geostrategica essenziale

Situato all’estremità occidentale dell’Africa, il Senegal beneficia di una posizione geografica privilegiata, offrendo un accesso diretto all’Atlantico e costituendo una porta verso l’Africa occidentale. La sua stabilità politica, in una regione talvolta travagliata, rafforza la sua attrattiva. Questa posizione geografica conferisce al paese un ruolo chiave nella sicurezza marittima e nel controllo delle rotte commerciali.

Un modello di stabilità democratica

Sin dalla sua indipendenza nel 1960, il Senegal è stato visto come un modello di democrazia in Africa. I tre alternamenti politici e il rispetto delle istituzioni fanno del Paese un partner affidabile in un mondo dove la stabilità politica è una merce rara. Questa reputazione rafforza la capacità del Senegal di svolgere un ruolo di mediazione nelle crisi regionali e di promuovere una governance rispettosa dei diritti umani.

Risorse naturali in forte espansione

La recente scoperta di giacimenti di petrolio e gas pone il Senegal al centro delle questioni energetiche globali. Queste risorse, ancora sottoutilizzate, costituiscono una risorsa importante nei nuovi partenariati economici, a condizione che siano gestite in modo trasparente e sostenibile. Inoltre, il paese dispone di importanti riserve minerarie (fosfati, zircone) e di una zona economica esclusiva ricca di risorse ittiche, che attirano investitori desiderosi di trarre vantaggio da questa manna.

Un polo economico e regionale in costruzione

Con Dakar come centro economico e logistico, il Senegal si posiziona come centro nevralgico per il commercio e gli affari nell’Africa occidentale. Progetti ambiziosi, come la Zona Economica Speciale di Diamniadio e l’espansione del porto di Dakar, pur affrontando la forte concorrenza di Abidjan e Cotonou, rafforzano questa visione. Il paese attrae ancora aziende straniere che cercano di stabilire basi in una regione dinamica, beneficiando al tempo stesso di infrastrutture e di un ambiente imprenditoriale in costante miglioramento.

Un giovane dinamico e impegnato

Con una popolazione prevalentemente giovane, il Senegal offre un notevole potenziale umano. Questi giovani costituiscono una forza lavoro competitiva e un terreno fertile per l’innovazione, in particolare nei settori tecnologico, culturale e imprenditoriale. I partner internazionali trovano in questa vitalità demografica una leva per sviluppare iniziative sostenibili e inclusive.

Verso un partenariato più equilibrato

La chiusura della base francese riflette una tendenza più ampia in Senegal: quella di un rifiuto delle relazioni neocoloniali a favore di un partenariato basato sul rispetto reciproco. Tuttavia, la vera influenza appartiene ora alle aziende private che creano ricchezza e alcune delle quali sono più potenti dello stesso Stato senegalese. A titolo di confronto, le imprese francesi operano in Senegal, che si dice rappresenti il ​​25% delle entrate fiscali e quasi il 10% dei posti di lavoro formali. Ora sono in concorrenza con aziende cinesi, turche, indiane, marocchine…

La vera esigenza delle politiche pubbliche senegalesi è quella di promuovere un settore privato sufficientemente forte da poter competere con il settore privato straniero in nome della concorrenza aperta che è il valore principale di un’economia liberale. Mostrare i muscoli è una cosa, avere i mezzi per realizzare la propria ambizione sovranista è un’altra. In questo incontro della globalizzazione in cui ogni nazione ha il suo vantaggio comparato, cosa offre il Senegal? Aziende abbastanza potenti da guadagnare quote di mercato in altre parti del mondo? Un mercato di consumo abbastanza ricco da attrarre industrie e marchi di lusso? Risorse naturali abbondanti?

Il rischio è quello di svendere il sovranismo fino a compiere scelte economiche sbagliate come il ripristino del visto d’ingresso in nome della reciprocità. Il Senegal è un paese turistico. Il settore costituisce la seconda fonte di valuta estera per la nostra economia. Rendere difficili le condizioni di ingresso nel Paese, correndo il rischio di guasti tecnici come è avvenuto nel 2013 e nel 2015 (con i guasti ai macchinari, i viaggiatori venivano pagati a destinazione ma i guasti facevano sì che non ottenessero il visto, né il rimborso delle spese sostenute (il il sistema dei visti elettronici funziona solo una volta su quattro), può avere un impatto negativo sul turismo.

Il discorso sovranista rischia di essere vano se non fa dell’economia il suo motore trainante. Fino ad allora, però, rimarremo con discorsi che denunciano l’influenza politica francese e che si riferiscono ad una vecchia concezione delle relazioni internazionali. L’urgenza per i prossimi cinque anni è costruire capitale economico nazionale per avere qualcosa che possa contribuire alla dinamica di co-costruzione che dobbiamo avere con il mondo. Altrimenti il ​​Senegal continuerà a essere un’appendice, mentre il mondo adotta una rivoluzione straordinaria con la robotizzazione, l’intelligenza artificiale e le energie verdi.

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