Dieci giorni dopo la caduta di Bashar Al Assad, in Siria resta d’obbligo la cautela. I vincitori affermano fermamente il loro controllo, garantendo al tempo stesso una transizione tranquilla. Il loro leader principale ha scambiato il suo nome di battaglia – Abu Mohammed Al Joulani – con quello del suo stato civile – Ahmed Al Charaa. Un bel simbolo, che ricorda anche la sua appartenenza ad una grande famiglia meridionale. Si ristabilisce un'apparenza di normalità, ma il Paese resta immerso nella povertà, dopo anni di guerra e sanzioni internazionali. E le tensioni non sono scomparse: Israele continua i suoi raid aerei quotidiani e le milizie curde e filo-turche si combattono nel Nord.
La situazione rende tuttavia possibile intraprendere iniziative a favore della stabilizzazione, per avviare la ricostruzione della Siria e il ritorno di milioni di profughi. Gli europei, e in particolare la Francia, hanno un ruolo da svolgere. Parigi ha inviato una missione esplorativa con l'obiettivo di riaprire la sua ambasciata dopo dodici anni di assenza. Il suo impegno risoluto contro il regime dei campi di concentramento di Bashar Al Assad gli conferisce legittimità. Il suo approccio deve far parte di un’azione collettiva sostenuta dalle Nazioni Unite.
Sono disponibili diverse leve per supportare la transizione. L'etichetta di organizzazione terroristica affissa dagli europei al movimento principale, Hayat Tahrir Al-Sham (HTC), potrebbe indurre i suoi leader a creare un nuovo movimento, meno chiuso ideologicamente. Le sanzioni che gravano sulla Siria potrebbero essere revocate in modo modulato. Anche il finanziamento della ricostruzione sarà una questione determinante. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di imporre una soluzione, ma di incoraggiare un approccio pacifico e inclusivo, tenendo conto delle minoranze.