Il 21 novembre, la Corte penale internazionale (CPI) dell'Aia ha emesso un mandato di arresto nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, del suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant, nonché del leader di Hamas Mohammed Deif, la cui morte, annunciata, non è stata confermata. La Corte penale internazionale intende processare questi funzionari per crimini di guerra e crimini contro l'umanità nel conflitto di Gaza. In quanto parte interessata della Corte penale internazionale, la Francia avrebbe quindi l’obbligo di arrestare il leader israeliano se fosse sul suo territorio per consegnarlo alla giustizia internazionale. Questo, almeno, è quello che tutti hanno capito, dopo il mandato d’arresto della CPI contro Vladimir Putin, nel marzo 2023. Senza contare sulla politica e sulla volontà dell’Eliseo di partecipare al cessate il fuoco in Libano. Il 27 novembre, un comunicato stampa del Quai d'Orsay ha suscitato sorpresa menzionando le “immunità” di cui beneficerebbero i leader degli “Stati non aderenti alla CPI”. Questo è il caso di Israele, ma anche della Russia. La Francia, infatti, riconosce così l'immunità a Benjamin Netanyahu: se mettesse piede in Francia, non verrebbe quindi arrestato. Gli ambienti filo-palestinesi e le organizzazioni umanitarie gridano allo scandalo. Per districare le questioni giuridiche, Opinion ha intervistato Céline de Roany, che insegna diritto internazionale pubblico alla Griffith University, a Brisbane (Australia).
-
-