Avignone “in”: quando gli incubi diventano realtà

Avignone “in”: quando gli incubi diventano realtà
Avignone “in”: quando gli incubi diventano realtà
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“Mobilitazione. Nessun pasaran. “Cultura contro il razzismo e per il progresso sociale”. Stesi davanti alla facciata del Palazzo dei Papi, due sottili striscioni riportano queste parole, firmate rispettivamente dal Festival di Avignone e dalla CGT Vaucluse. Anticipo di qualche giorno a causa dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi, il 78e sta per iniziare l’edizione del grande evento teatrale. Un gruppo piuttosto sparso si sta gradualmente formando ai piedi degli slogan in risposta il ricorso dell’intersindacatononostante la tregua elettorale.

All’inizio del pomeriggio del 29 giugno, alla vigilia del primo turno delle elezioni legislative anticipate, la minaccia dell’arrivo del Raggruppamento Nazionale al governo è tuttavia sulla bocca di tutti. Un timore che si concretizza con i risultati del primo turno, confermando le allarmanti previsioni dei sondaggi a favore del partito di Jordan Bardella e Marine Le Pen e i timori spesso espressi in questo senso da Tiago Rodrigues, alla guida del festival dallo scorso 2022. Il suo annuncio, dopo i risultati, dello svolgimento di una “Notte di Avignone” la sera tra il 4 e il 5 luglio conferma il suo desiderio di difendere i valori servizio pubblico e cultura.




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Facendo regolarmente riferimento alla fondazione dell’evento teatrale di Jean Vilar, al suo legame diretto con la Seconda Guerra Mondiale, di cui avrebbe contribuito a riparare gli immensi danni, l’attuale regista non smette di ripetere l’urgenza di bloccare all’estrema destra. Lo ha annunciato, ad esempio, in un’intervista a Mondo del 16 giugno, che si rifiuterebbe di collaborare con la RN se salisse al potere, precisando che questo scenario catastrofico non implicherebbe le sue dimissioni, poiché il festival – come associazione – non è sotto il controllo dello Stato. Abbiamo anche potuto leggere la sua determinazione nel fare di Avignone un “festa della resistenza” nel caso in cui si verifichi questo terremoto.

Scetticismo

Dopo i due spettacoli di apertura dell’annata 2024 e la creazione del regista stesso, di cui parleremo nel prossimo numero, questo tipo di affermazioni possono purtroppo essere accolte solo con scetticismo. Anche Absalon, Absalon! di Séverine Chavrier che Damone. I funerali di Bergman di Angélica Liddell danno infatti al preambolo di questa edizione un volto ben poco esteriore. Se questo volto è oscuro, popolato da incubi e paure, queste sono ben poco legate al presente e alle sue ingiustizie sociali, che Tiago Rodrigues dice tuttavia di volere connettersi saldamente la grande manifestazione che orchestra.

Il primo pezzo, presentato a La FabricA, dove sono sempre invitate alcune delle creazioni più ampie del festival, è tuttavia ispirato a un romanzo la cui forma molto moderna per l’epoca – è stato scritto nel 1936 – è brillantemente riportata in vita di un esplorazione della violenza nel sud americano durante la guerra civile. L’opera di Faulkner offre al lettore uno spazio di immaginazione, quasi di co-creazione, che l’opera di Séverine Chavrier non riesce ad aprire al suo spettatore. Che ha tutto l’interesse, di entrare un minimo negli orrori di casa Sutpen descritti dallo scrittore attraverso le voci di quattro narratori di generazioni e origini diverse, per rivedere un po’ il suo Faulkner.




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Il rapporto del regista con Absalon, Absalon! mancanza di serve chiarezza per permettere al pubblico di condividere il proprio personale viaggio nel cuore dell’universo faulkneriano. Sostituendo il linguaggio molto singolare dell’autore con parole molto più quotidiane e attuali, che supponiamo siano state scritte dal lavoro teatrale, Séverine Chavrier stabilisce tra sé e Faulkner una distanza alla quale il suo titolo difficilmente prepara. La sua scelta di dare voce a Thomas Sutpen (Laurent Papot), sebbene esista nell’opera letteraria solo attraverso i racconti di chi lo ha conosciuto o ha ereditato la sua storia, non ha alcun significato che non sia evidente nel romanzo, anzi. .

L’ideale democratico formulato da Tiago Rodrigues difficilmente si realizza.

Invitando gli attori ad appropriarsi del testo, l’artista crea una falsa polifonia faulkneriana – tutti i narratori si esprimono in modo abbastanza simile, in un flusso molto innaturale fatto di incessanti rimaneggiamenti e riformulazioni – una partitura davvero originale eterogenea ma abbastanza uniforme suo povertà di stile quanto pensato. L’aggiunta di numerosi elementi estranei al romanzo, come danze urbane e scene di gruppo in cui i giovani di oggi fanno festa e lanciano idee politiche, confonde ulteriormente il percorso di Sutpen, il cui progetto di creare una piantagione e stabilirvi una dinastia duratura è quindi accessibile solo a una manciata di iniziati. Ciò nonostante un superbo lavoro scenografico che tenta di immergerci in un’atmosfera da incubo e allucinatoria.

L’ideale democratico formulato da Tiago Rodrigues difficilmente si realizza. Lo è ancor meno all’Angelica Liddell, in programma in quel luogo altamente simbolico che è il cortile d’onore del Palazzo dei Papi, il cui ingresso è stato sgomberato la sera del 29 dallo striscione menzionato prima. Conoscente del festival, essendovi già venuta ben nove volte per presentare le sue creazioni provocatorie di cui lei è sempre il pezzo forte, la spagnola ha accennato nell’intervista realizzata per Avignone alla possibilità di un piccola apertura a cerimonie e argomenti diversi dai suoi. I primi minuti di Dämon. El funeral de Bergman vhanno in questo senso: il lento attraversamento da parte di un uomo in abiti papali del nudo altipiano – ad eccezione di qualche bidet e orinatoio – evoca il passato del luogo.




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Pensiamo anche che i funerali promessi da Angélica Liddell siano in preparazione. Non ci vuole molto prima che l’esecutore appaia sul palco disingannare. Vestita con un abito immacolato che lascia intravedere uno scorcio dei suoi genitali che rimarrà in vista per quasi tutto lo spettacolo, qui inizia un monologo rabbioso come tutti quelli con cui ha già potuto onorare i suoi spettatori. Svanisce la promessa dei funerali del regista svedese, di cui lui stesso ha scritto la sceneggiatura nel testamento.

litania di volgarità

Per prendere di mira il genere umano dal quale sembra così escludersi, Angélica Liddell comincia attaccando un bersaglio che aveva già attaccato nel suo pezzo precedente, Liebestod. L’odore del sangue non riesce a scomparire dai miei occhi (2021): critici teatrali. Citare passaggi di articoli negativi non è sufficiente per chi autoproclamare genio incompreso dunque: fa i nomi dei giornalisti e arriva addirittura a insultarne personalmente uno, crogiolandosi in una litania di parolacce. Ciò dopo aver gettato sul muro del Palazzo dei Papi l’acqua sporca di una toilette intima che condivideva con tutto il pubblico – un’altra delle tante cose già fatte altrove da lei e da altri e che ella ripete qui senza nemmeno cercare di rinnovare il approccio.




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Attaccando coloro la cui professione è scrivere di teatro, senza mancare di offendere il pubblico, Angélica Liddell limita la portata del suo attacco allo stesso ambiente il cui propensione a stare tra se stessi. Bergman ha una buona schiena. Dopo essere stato menzionato più volte per motivi formali, appare veramente – in una bara – solo alla fine dello spettacolo, dopo una sorta di rituale in cui anziane comparse in sedia a rotelle vengono offerte da giovani attrici del Teatro Reale Svedese allo spettacolo delle loro nuda bellezza. La paura della morte, il terrore della decadenza di cui ci parla lo spagnolo è troppo egoistico per toccare chi non è già suo fedele. Ne usciamo amareggiati, soprattutto in un momento in cui il collettivo si impone come baluardo contro il pericolo che incombe sull’intero festival, e non solo.

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