12 novembre 2024
Nella politica interna come in quella estera, il pregiudizio non è una posizione analitica che porta lontano. Senza dubbio è legittimo avere delle preferenze (chi del resto non ne ha?), ma, in questa come in tutte le cose, l’eccesso è dannoso. A conclusione del suo editoriale sulla visita di Emmanuel Macron in Marocco, Il mondo scritto: “In realtà, Parigi non ha interesse a trascurare l’Algeria, un partner essenziale, sia sul piano umano che sul piano migratorio, economico e del Sahel, né a scommettere tutto sul Marocco, un paese dalla governance a volte instabile un’oligarchia predatrice, indebolita sia dalle sue abissali disuguaglianze sociali sia dalla minaccia dello stress idrico. » Sono ragionevoli questi commenti? La governance algerina è diventata democratica in seguito al hirakla sua oligarchia militare non sarebbe più predatrice e onnipotente, il paese sarebbe privo di disuguaglianze significative e sarebbe finalmente uscito dalla maledizione degli idrocarburi, che vuole che questa ricchezza produca piuttosto anomia economica, sociale e politica? sviluppo vantaggioso per tutti? Lo stress idrico rende possibile squalificare politicamente un paese? Rimaniamo sbalorditi di fronte a questa enormità, l’autore dell’editoriale non sa più cosa dire per screditare Rabat nei confronti di Algeri e finisce per incolpare questo paese delle bizzarrie del suo clima. Perché non biasimarlo anche per i suoi terremoti?
Al di là dell’aspetto scioccante di questa carica barocca, si pone una questione fondamentale, di cui abbiamo discusso in un recente articolo su Telos, la Francia non deve fare la bilancia, (a) perché tale non è il suo ruolo e perché (b) giocare l’equilibrio in questa materia significherebbe scegliere di sostenere i governanti dell’Algeria nel loro atteggiamento duro nei confronti del Marocco. Uscire dalla colonialità – cosa che la Francia viene criticata per non aver fatto con il continente africano – consiste proprio nel non trasferirsi lì come portatore di principi o di un ordine generale, o addirittura di un progetto politico per la regione.
Seguendo la lettera a), la domanda che si pone per la diplomazia francese non è quindi: “cosa possiamo fare per evitare di schierarci tra Algeria e Marocco?” » ma «cosa perdiamo e cosa guadagniamo facendo questa scelta? “. Questa domanda, da sola, è priva di arroganza perché è quella che normalmente deve essere posta dalle autorità governative di qualsiasi Stato che non si consideri né inferiore né soprattutto superiore agli altri e che intenda mantenere relazioni bilaterali simmetriche con i suoi partner. La Francia non è responsabile degli equilibri né della promozione dell’integrazione regionale nel Nord Africa; è affare degli Stati della regione e soltanto di loro, se vi trovano interesse.
Seguendo il punto (b), la risposta è molto chiara. Possiamo noi, dimenticando tutti i rifiuti, credere di aver saldato il nostro debito commemorativo con l’Algeria? Certamente nulla giustifica la sua colonizzazione; i massacri di Sétif (1945), insieme purtroppo a molti altri e la pratica sfrenata della tortura fanno rabbrividire di continuo orrore e indignazione. Tuttavia, il debito commemorativo non è altro che uno strumento diplomatico e politico dei governi algerini; non verrà quindi mai venduto. Questi governi sono stati e sono partner affidabili? No, gli esempi in questa direzione abbondano. Niente è più imprevedibile dei rapporti che l’Algeria intrattiene con la Francia. Il caso Amira Bouraoui non ha forse dimostrato, nel bel mezzo di un periodo di riavvicinamento, la rapidità con cui il governo algerino ha fatto il grande passo richiamando il suo ambasciatore per una consultazione? Era chiaro, per ogni osservatore minimamente obiettivo, che assecondare l’Algeria non avrebbe potuto che minare ulteriormente il rapporto franco-marocchino, a lungo maltrattato da Emmanuel Macron, senza ottenere in cambio l’instaurazione di un rapporto stabile e proficuo con Algeri.
È possibile forse aggrapparsi ad un equilibrio di secondo ordine, se presenta vantaggi, ma aggrapparsi ad un equilibrio che non lo è, vale a dire in cui si perde un partner affidabile senza vincerne un altro, è una strategia inevitabilmente perdente. Non blocca sviluppi silenziosi; non impedisce l’insorgere di situazioni dirompenti. Ci sorprende quindi l’inno all’equilibrio in cui Il mondo. La visita di Stato di Emmanuel Macron ad Algeri nell’agosto 2022 non ha creato uno squilibrio a scapito del Marocco, sostenendo l’Algeria mentre entrava in una fase di aggressività senza precedenti nei confronti del suo vicino che aveva appena ottenuto numerosi successi diplomatici? Non ricordo di aver letto un editoriale nel Mondo equivalente a quello appena pubblicato. Tuttavia, l’atteggiamento della Francia è stato suscettibile delle stesse critiche per aver sconvolto l’equilibrio.
Questo ci riporta alla questione sahariana. Il mondo si compiace di sottolinearlo il Presidente della Repubblica “si pone in contraddizione con il tradizionale rispetto della Francia per le posizioni delle Nazioni Unite. Mentre questi richiedono l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione, il “piano di autonomia” del Marocco prevede solo un voto che ne confermi la sovranità. Questa lettura è alquanto restrittiva e parziale. La Francia non ha mai sostenuto la creazione di uno Stato sahrawi indipendente e sostiene il piano di autonomia del Marocco dal 2007. Questo sostegno, che allora non ne faceva ufficialmente “l’unica soluzione”, era tuttavia chiaramente favorevole alla posizione marocchina e considerato in evoluzione. Ciò rientrava, in particolare, nel desiderio di mantenere una posizione comune con Spagna e Stati Uniti. Logicamente, è stato quindi chiamato ad evolversi piuttosto che ad incarnare la posizione “tradizionale” della Francia. Ciò spiega in particolare l’irritazione di Rabat per la sua posizione immutata dopo il riconoscimento della natura marocchina dell’ex Sahara spagnolo da parte degli Stati Uniti e il riposizionamento della Spagna in questa direzione.
In realtà, questo sviluppo era semplice realismo. Il Marocco, infatti, ha compiuto numerosi sforzi per includere l’ex Sahara spagnolo, come dimostra in particolare il PIL pro capite delle sue due regioni sahariane. Ma, anche al di là di questi sforzi economici e sociali, la sua appartenenza al Regno è evidente a tutta la popolazione marocchina. Questa non è una moda passeggera delle élite al governo, come lasciano intendere alcuni commentatori o analisti; è, per i marocchini, la realizzazione della decolonizzazione. Non è serio ignorare questo sentimento quando prendiamo una decisione su questa questione, anche se siamo contrari alla natura marocchina del Sahara. Sapendo che né il Polisario né l’Algeria hanno i mezzi per opporsi efficacemente allo stato attuale delle cose e che la posizione marocchina continua a rafforzarsi in Africa, all’interno dell’Unione africana in particolare, e nel mondo, è difficile capire perché il Marocco dovrebbe invertire la tendenza la sua posizione; pertanto, è difficile comprendere come i suoi avversari, anche per ragioni di principio, riescano ad agire come se la situazione non fosse definitivamente risolta, come se si trattasse di un conflitto ancora aperto che potrebbe evolversi in senso inverso. Era quindi logico e positivo che la Francia, seguendo la politica che aveva avviato, emergesse da uno status quo senza futuro durato troppo a lungo. È perfettamente legittimo che un giornale, un commentatore o un editorialista abbiano delle preferenze; d’altro canto, sarebbe auspicabile evitare gli eccessi del “moralismo realistico”, che trasforma dette preferenze in oggettività morali e queste oggettività morali in realismo politico. Non è necessario che la Francia mantenga un equilibrio tra Algeria e Marocco.
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