“Un retrogusto di compost”: tutto ciò che seppelliamo

“Un retrogusto di compost”: tutto ciò che seppelliamo
“Un retrogusto di compost”: tutto ciò che seppelliamo
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Un retrogusto di compostil primo testo della giovane Anne-Virginie Bérubé, presenta un’esplorazione della natura insidiosa dei disturbi alimentari: quelli di un fratello scomparso all’improvviso, senza lasciare traccia. In questa seduta a porte chiuse a due che apre la stagione in Premier Acte, è però soprattutto il dolore di una sorella a risaltare.

Questa, Éléonore (Béatrice Casgrain-Rodriguez), lancia lo spettacolo con una serie di flash efficaci che, nella regia di Nathalie Séguin, ritraggono perfettamente la situazione: il fratello che se ne è andato senza spiegazioni, gli anni che passano, i compleanni che si ripetono, rinnovata l’incomprensione.

Quando il loro incontro casuale avviene in questo giardino comunitario, un tempo condiviso, e dove entrambi ora vengono meno per piantare piantine che per seppellire i ricordi. Le prime frasi scambiate, però, instaureranno già una strana sensazione: c’è qualcosa che non dicono…

Cinque anni hanno tenuto Christophe (Antoine Gagnon) nel silenzio. All’età di 26 anni, il fratello maggiore diventa insegnante di lettere al college, i due personaggi si riavvicinano lentamente, senza lasciarci però la sensazione di un distacco che non è dovuto solo all’imbarazzo. L’imprecisione lascia le motivazioni vaghe e le dinamiche difficili da definire appieno, la scrittura fatica ad avvicinarci ai personaggi.

Il dolore che acceca

Un punto di chiarimento potrebbe risiedere nel discorso sulla generosità che gira lo spettacolo breve di un’ora. Vengono invocati i Nawal diIncendi e la sua tragica esperienza – che, anche di fronte ai propri cari, costrinse la donna al silenzio. Egoismo, il gioco rischia. Lo stesso vale per questo fratello che avrebbe dovuto parlare delle sue difficoltà: perché non ha detto nulla alla sua famiglia che lo ama?

Al di là dell’ipotetico insulto al carattere di Mouawad, c’è soprattutto un trattamento ingiusto dei disturbi che l’opera vuole esplorare. Ciò che resta in mente, quando cala il sipario, sono soprattutto le recriminazioni: la sofferenza accecante che, se ha cortocircuitato il lavoro di esplorazione, potrebbe anche suggerire che l’egoismo non è esattamente il luogo a cui appartiene il testo.

Nel gioco, Antoine Gagnon trova un equilibrio delicato, ma rimane intrappolato nello spazio ristretto di questo fratello colpevole. La scenografia accompagna piacevolmente i movimenti principali del testo: i suoni rimbombano e prendono il sopravvento sulla rabbia repressa, la decorazione calda e intima dell’arredo dà tutto ciò che serve per mantenerci attenti agli scambi, che scivolano verso una complicità tranquillamente ritrovata. Ciò avverrà secondo una melodia giovanile che affiora in superficie: una riconciliazione che però è difficile accettare fino in fondo, quando sembra costruita sul non detto, su ciò che è sepolto.

Tutto avviene come se fosse un dolore che si impossessa del gesto della scrittura. È lei che, consapevolmente o meno, si alza sul palco e grida – allo stesso tempo confonde il gesto e impedisce che venga offerta una vera mano tesa.

Un retrogusto di compost

Testo: Anne-Virginie Bérubé. Regia: Nathalie Seguin. Una produzione del Théâtre du Refuge, al Premier Acte fino al 19 ottobre.

Da vedere in video

#Canada

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