“Confessione americana”. Di Eddy L. Harris. Tradotto dall'americano da Grace Raushi. Liana Levi. 95 pagine. €12.
Non c'è niente come una certa distanza per distinguere meglio le linee principali di un dipinto. Avendo vissuto in Francia per circa quindici anni, Eddy L. Harris sfrutta questa distanza geografica e culturale per esplorare i demoni del suo paese natale. Nel 2016, era uno di quelli che non vedevano arrivare l’elezione di Trump. Nel momento in cui quest’ultimo ha appena conquistato un nuovo mandato, l’analisi dello scrittore americano scava in una narrazione nazionale fuorviante dove la questione razziale è lungi dall’essere risolta.
Una domanda sul posto assegnato a ciascuno
Originario di Saint-Louis, Eddy Harris, che ritrovato nel 1796 in un tribunale della Virginia il certificato di emancipazione del nonno, rivendica la piena cittadinanza in nome della quale si definisce nero-americano e non afro-americano.
A partire da questa appartenenza senza trattino, mette in discussione il posto assegnato a ciascuno all'interno della società americana, e più precisamente quello dei neri. A sostegno della storia della sua famiglia intrecciata a quella degli Stati Uniti, ma anche di figure intellettuali come James Baldwin, cerca le motivazioni di una bussola politica disordinata.
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Dall'America di Reagan a quella di Obama, nota come, da un'elezione all'altra, il cemento della convivenza sia rimasto un'illusione. Cosa possiamo aspettarci da una nazione in cui i cittadini sventolano ancora la bandiera confederata in nome del loro “patrimonio”? Dai mandati di Barack Obama portatori di speranze necessariamente deluse, al panorama politico attuale, il racconto di grande lucidità mette a nudo le “stronzate” dei grandi miti unificanti, a cominciare da quello degli Stati “uniti”.
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