Lola Lafon è una lama. Quelli abbastanza affilati da togliere la spessa crosta dell’ambiente pronto a pensare in un batter d’occhio. Lo dimostra vividamente nel suo ultimo libro pubblicato mercoledì 8 gennaio da Stock edizioni.
Una raccolta di “finzioni esatte”attraversato dalle notizie personali e collettive dei mesi scorsi, e la cui lettura si rivela estremamente stimolante in questo inizio d’anno. L’occasione per lei di mettere in discussione le mitologie del tempo e di delineare i principi fondamentali di una linea di vita che celebra l’azione permanente, la solidarietà e il potere performativo del linguaggio.
Per questo libro Lola Lafon non ha voluto scrivere un romanzo, né più un diario di bordo o un saggio. Voleva scrivere un testo”da storie che ci uniscono o ci contrastano”come ha spiegato in dicembre sul palco del teatro Rond-Point dove è venuta a leggere alcuni estratti. Ma soprattutto il desiderio che lo sia “un giornale collettivo”sonoro, per dire come uno scrittore affronta gli eventi che attraversa durante un anno, a distanza di sicurezza, secondo il consiglio che un tempo gli aveva dato suo padre. “È una breve frase scritta su un foglio di carta sciolto, poche parole che mio padre mi ha rivolto dopo una discussione durante la quale non siamo riusciti a metterci d’accordo : ‘Attenzione a mantenere la giusta distanza da ciò che attraverserai, a ricordare l’orizzonte, come una lezione sempre in divenire’.”
L’idea è germinata nel 2023 quando ha iniziato a pubblicare rubriche mensili per Liberazione sotto forma di carta bianca (e che ancora compie regolarmente), arricchendole via via con confidenze più personali, aforismi sentiti e riflessioni quasi sociologiche, componendo infine una radiografia ultra-attualissima del disordine delle nostre aziende. C’è tutto ed è un puro piacere di lettura. Dalle assurde ingiunzioni del capitalismo sfrenato alle rinunce quotidiane di cittadini disorientati che si ritrovano a pagare caro per far saltare piatti in Stanze della Furiaqueste stanze di rilascio dove puoi rompere tutto per calmarti i nervi. Lola Lafon decostruisce perfettamente il modo in cui ci viene parlato.
Innanzitutto perché eccelle nello sradicare le cattiverie ordinarie nascoste dietro i nostri gesti più innocui. Questo “piccola empatia” che si ritroverà a provare un giorno di fronte ad una senzatetto troppo bionda per essere sincera: “È brutto questo pensiero che ci attraversa la mente quando ti vediamo: se ha i mezzi per tingersi i capelli… La nostra passione per la gentilezza – questa parola su cui continuiamo a fare i gargarismi nei post di Instagram e nei libri di sviluppo personale – trova il suo limite ( …) La miseria che ci convince è quella che non ci disturba troppo: è senza odore, senza rabbia, senza discorso incoerente, senza alito alcolico. Una miseria del cinema. Per commuoverci dobbiamo apparire ‘per sempre’ nel bisogno”.
Ma soprattutto quando si propone di analizzare alcune cecità collettive che hanno portato a ritardare l’esplosione del movimento #Metoo. A cominciare da quello della sua generazione. “Noi, figli degli anni 1980, credevamo in una finzione. (…) Femminismo ? Era vecchio stile : apparteneva alle nostre madri. I marchi, le canzoni, elogiavano il femminismo leggero, esortandoci a “credere in noi stessi”. Fallo e basta. Ho abbracciato questa storia con ingenuo entusiasmo”. E per esortare gli uomini a fare più rumore d’ora in poi, accanto a chi ha aspettato troppo per farcela.
Naturalmente Lola Lafon non ha le risposte a tutto, e spesso dubita di fronte alla follia omicida degli uomini dispersi nelle guerre che hanno costellato le nostre notizie quest’anno. “Al disastro abbiamo aggiunto il disastro, i morti, li abbiamo uccisi una seconda volta, ogni volta abbiamo procrastinato, stimando al grammo la dose di empatia adatta agli affamati, ai bombardati, agli stuprati. Le guerre lontane ci offrono la possibilità di vederci come siamo, in uno specchio opprimente, un deserto di umanità. (…) È un impegno che prendiamo con noi stessi. Quella di restare fondamentalmente perplessi, quando l’odio ha la forza della certezza.” Ma anche in questo caso, sta cercando un modo. Ci prova, perché “forse contano solo i nostri tentativi. (…) Allora, ricominciamo. Combattiamo, anche se siamo un po’ disarmati”.
“Non era mai troppo tardi” di Lola Lafon (edizioni Stock), 227 pagine, 19,50 euro
Estratto: «Ultimamente ho ingoiato un po’ di schifezza, me ne sono rimpinzato. Da vedere’. Per ‘sapere’. Perché è lì, disponibile, sui social network ; perché persuadere la mia rabbia, alimentandola, mi distrae temporaneamente da un insopportabile senso di impotenza. A volte è più esaltante sbraitare che dubitare. Lo stato d’animo politico del Paese, questa corsa all’odio vinta alternativamente da destra a destra e da sinistra a sinistra, non ci aiuta a uscire da questo terreno, quello della retorica della vendetta, del “hanno ben meritato” ‘ che coltiviamo con una passione inquietante. Tutti abbiamo perso qualcosa quest’autunno : una cosa indefinibile, che, come tutto ciò che è raro e inestimabile, scivola via senza rumore e non se ne sente la mancanza. Fino al momento in cui ci attanaglia la sua perdita, il ricordo di una vecchia amicizia. L’abbiamo abbandonata senza nemmeno pensarci, quella cosa che potremmo chiamare la nostra umanità, ‘la gentilezza verso i propri simili’”. (pagina 149)