Vatican News pubblica il testo integrale della prefazione di Francesco al libro “La speranza è una luce nella notte”, un'antologia delle meditazioni del Pontefice pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana sulle “umili virtù” in vista del Giubileo.
Papa Francesco
Il Giubileo del 2025, anno santo che ho voluto dedicare al tema “Pellegrini della speranza”, è un’occasione propizia per riflettere su questa fondamentale e decisiva virtù cristiana. Soprattutto in un tempo come quello in cui viviamo, dove la terza guerra mondiale a pezzi che si sta svolgendo davanti ai nostri occhi può indurci ad assumere atteggiamenti di oscuro scoraggiamento e di malcelato cinismo.
La speranza, invece, è un dono e un compito per ogni cristiano. È un dono perché è Dio che ce lo offre. Sperare, infatti, non è un semplice atto di ottimismo, come quando talvolta si spera di superare un esame universitario (“Speriamo di riuscirci”) o si spera nel bel tempo per una passeggiata in campagna in una domenica primaverile (“Speriamo di riuscirci”) spero che il tempo sia bello”). No, sperare è aspettare qualcosa che ci è già donato: la salvezza nell'amore eterno e infinito di Dio. Questo amore, questa salvezza che dà sapore alla nostra vita e che costituisce il cardine su cui resta in piedi il mondo, nonostante tutta la cattiveria e la turpitudine causate dai nostri peccati di uomini. Sperare è dunque accogliere questo dono che Dio ci offre ogni giorno. Sperare è assaporare la meraviglia di essere amati, cercati, desiderati da un Dio che non si è rinchiuso nei suoi cieli impenetrabili, ma si è fatto carne e sangue, storia e giorni, per condividere il nostro destino.
Anche la speranza è un compito che i cristiani hanno il dovere di coltivare e mettere a frutto per il bene di tutti i fratelli. Si tratta di restare fedeli al dono ricevuto, come giustamente sottolinea Madeleine Delbrêl, francese del XX secolo che seppe portare il Vangelo nelle periferie geografiche ed esistenziali della Parigi della metà del secolo scorso, segnata dalla scristianizzazione. Madeleine Delbrêl ha scritto: “La speranza cristiana ci offre come luogo questa stretta linea di cresta, questo confine dove la nostra vocazione ci chiede di scegliere, ogni giorno e ogni ora, di essere fedeli alla fedeltà di Dio per noi”. Dio è fedele con noi, il nostro compito è rispondere a questa fedeltà. Ma attenzione: questa fedeltà non siamo noi a generarla, è un dono di Dio che agisce in noi se ci lasciamo modellare dalla sua potenza d'amore, dallo Spirito Santo che agisce come un soffio di Dio nella nostra cuori. Sta quindi a noi invocare questo dono: “Signore, concedimi di esserti fedele nella speranza”.
Ho detto che la speranza è un dono di Dio e un compito dei cristiani. E vivere la speranza richiede “misticismo degli occhi aperti”, come la chiamava il grande teologo Joseph-Baptiste Metz: saper discernere ovunque le prove della speranza, l'irruzione del possibile nell'impossibile, la grazia laddove sembrerebbe che il peccato abbia eroso ogni fiducia. Qualche tempo fa ho avuto l'opportunità di dialogare con due eccezionali testimoni di speranza, due padri: uno israeliano, Rami, l'altro palestinese, Bassam. Entrambi hanno perso le figlie nel conflitto che da troppi decenni insanguina la Terra Santa. Tuttavia, in nome del loro dolore, della sofferenza provata per la morte delle loro due piccole figlie – Smadar e Abir – sono diventati amici, addirittura fratelli: sperimentano il perdono e la riconciliazione come un gesto concreto, profetico e autentico. Il loro incontro mi ha portato tanta, tantissima speranza. La loro amicizia e fratellanza mi ha insegnato che l’odio, concretamente, potrebbe non avere l’ultima parola. La riconciliazione che essi sperimentano individualmente, profezia di una riconciliazione più ampia ed estesa, è un segno invincibile di speranza. E la speranza ci apre a orizzonti impensabili.
Invito ciascun lettore di questo testo a compiere un gesto semplice ma concreto: la sera, prima di coricarsi, ripercorrendo le vicende vissute e gli incontri avuti, andare a cercare un segno di speranza nella giornata che è appena passato. Un sorriso di qualcuno che non ti aspettavi, un atto di gentilezza osservato a scuola, una gentilezza incontrata sul posto di lavoro, un gesto di aiuto, anche minimo: la speranza è infatti un “virtù infantile”come scriveva Charles Péguy. E dobbiamo ridiventare bambini, con il loro sguardo stupito sul mondo, per incontrarlo, conoscerlo e apprezzarlo. Alleniamoci a riconoscere la speranza. Possiamo allora meravigliarci del bene che esiste nel mondo. E i nostri cuori si illumineranno di speranza. Potremo quindi essere fari del futuro per coloro che ci circondano.
Città del Vaticano, 2 ottobre 2024