quanto vale il libro di Kamel Daoud, Premio Goncourt 2024?

quanto vale il libro di Kamel Daoud, Premio Goncourt 2024?
quanto vale il libro di Kamel Daoud, Premio Goncourt 2024?
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Un argomento che deve essere tenuto nascosto

Dagli anni ’90 agli anni 2000, la guerra civile algerina non è stata un problema. È possibile che Ore non essere mai sugli scaffali delle librerie di tutto il paese. Una legge – citata alla ribalta – impedisce di parlare di questa guerra che avrebbe causato, in Algeria, tra i 150.000 e i 250.000 morti. Morti di cui ci vorrebbero tanti libri per parlare correttamente.

Non possiamo quindi fare nulla di più mostruoso che vietare alla gente di parlare della guerra. Per fortuna esiste la finzione. Una finzione che rende questo libro importante.

“Parlo e non appena parlo la strada mi vibra dentro. »

17 centimetri. Questa è la dimensione della cicatrice che porta Aube, la protagonista di questo romanzo, vittima della guerra quando aveva cinque anni. Un'evidente metafora del silenzio, a cui si unisce un linguaggio molto simbolico da parte dell'autore, che mette al servizio di questa toccante storia.

Una scorta

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Aube è una giovane donna che lavora in un salone di bellezza. Da bambina sopravvisse ad una gola tagliata, mentre sua sorella, che era al suo fianco, non subì la stessa sorte. Aube è l'unica sopravvissuta, ha chiuso gli occhi quando sua sorella è stata uccisa. Attraverso la sua voce interiore traspare il senso di colpa: perché è sopravvissuta?

Aube è incinta e, in questo monologo interiore, inizia a rivolgersi a questo bambino che forse non avrà. La voce interiore di una donna, come omaggio all'universalità della letteratura; ma Kamel Daoud ovviamente va oltre.

Infatti, assumendo la voce di una donna che aspetta un figlio (anche se altre voci si levano parallelamente), egli mette in luce tutto ciò che rappresenta il pensiero della morte quando si sta per donare la vita. Come possiamo pensare a questa morte quando l'abbiamo vista così da vicino? UN Ore è una vergine del paradiso. Una donna che, in fondo, non esiste e che la voce interiore di Aube cerca di riconquistare.

“Non avevo bisogno di gridare. Perché, mia Houri, la lingua interiore sa parlare al nemico meglio di quella esterna con le sue parole limitate. »

La voce interiore di un sopravvissuto

Attraverso il racconto di questo sopravvissuto, capiamo che, in questa guerra in questione, in questo decennio oscuro che porta bene i suoi colori, la posta in gioco era multipla. Prendere la voce di una donna, per Kamel Daoud, significava anche capire che, per loro, la guerra si infiltra in ogni angolo della loro vita. Parlarne quando si parla di una vita che può nascere è tanto più incisivo.

“Mia piccola Houri, cosa verresti a fare con una madre come me, in un paese che non ci vuole donne, o solo di notte? »

Attraverso il suo monologo interiore, il suo dialogo con chi porta dentro, Aube ci racconta anche come si impedisce alle vittime di essere riconosciute come tali. Ritornando al suo villaggio, seguendo le tracce del suo passato, si rende conto della violenza di questo. La gente non vuole ricordare. Non devi ricordare. E' proibito. La memoria è penalizzata.

“E noi, i sopravvissuti alla guerra civile? Niente. Non ci viene data una sola data nazionale, non un solo ricordo da appendere al collo. Ci sono a malapena permesse cicatrici. »

Numeri e finzione

Kamel Daoud ha impiegato 400 pagine divise in tre parti per raccontare la memoria intima di un Paese che rifiuta di ricordare.

Questo ricordo è quello di questa guerra civile altrimenti chiamata il decennio nero. Tra gli anni '90 e gli anni 2000 l'autore è stato giornalista e ne è stato testimone. Comprendiamo leggendo questo romanzo, questa necessità democratica che è la scrittura giornalistica non potrà mai sostituire quella dello scrittore di far vivere le figure del primo.

Mettendo la finzione nella tragedia, Kamel Daoud permette di gestire la memoria del Paese, di mettere al centro della tavola i morti dimenticati dalla propria nazione. Comprende anche scene che sembrano impossibili da inventare, come quella del ginecologo. A volte raccontare l'improbabile sembra necessario per svelarlo. Questo libro ne è l'esempio perfetto.

“Il fatto è che, vedi, una memoria è sempre scritta sull'acqua, sulla sabbia, sui materiali che cambiano e fuggono. »

Il linguaggio di Kamel Daoud è rotondo, poetico e corrisponde a ciò che ci aspettiamo dalla bellezza: ricchezza, violenza e un linguaggio esteriore che non dice tutto. Oltre a raccogliere un pensiero dall'orrore, lo stile cerca di salvarlo. Perché è proprio un romanzo, che ci fa sentire l'ingiustizia, la difficoltà di essere donna in Algeria alla luce di questi avvenimenti. Ore non è un saggio, non presenta cifre. È un libro di sentimenti, che mette in discussione tanto quanto rende universale la sofferenza.

Perché lo sappiamo: non sfuggiamo mai ai nostri tempi.

OreKamel Daoud, Gallimard, agosto 2024, 416 pagine, €23

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