Primo Levi et le 7 octobre

Primo Levi et le 7 octobre
Primo Levi et le 7 octobre
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In questo tragico giorno in cui si ricorda il pogrom del 7 ottobre, cosa avrebbe scritto Primo Levi di questo orrore?

Una nuova biblioteca nazionale è stata recentemente inaugurata a Gerusalemme, di fronte all’Università Ebraica. Alle pareti, una sorta di opera in pietra a forma di pagina talmudica con il trattato al centro e banchi di commenti su entrambi i lati.
In una vetrata all’ingresso della biblioteca erano installate le foto degli ostaggi, con per ognuno un libro che costituiva un riferimento, un compagno di vita, una lettura memorabile. Un modo per mantenerli in vita. La campagna si chiama “Un libro per ogni ostaggio” e vorrebbe lasciare i posti vuoti e i libri aperti per il ritorno dei detenuti.
La scelta di Nehama Lévy, questa giovane a cui sono affezionate tante persone? O la scelta che abbiamo fatto per lei? Un libro di Lova Eliav, pioniera, sindacalista, kibbutznik. Siamo così sorpresi da questa scelta per una ragazza così giovane. Lova Eliav rappresenta gran parte del vecchio Israele.
Ci rendiamo conto che la maggior parte degli ostaggi sono persone del libro. Per ogni ostaggio venivano tenuti una sedia e un libro, una scelta fatta nella maggior parte dei casi dai membri della famiglia.
Per prima cosa, la scelta è caduta su Libertà di Jonathan Franzen. Per l’altro, un libro di Jody Picoult, romanziere americano “Vorrei che tu fossi qui”. Ancora l’altro Perché le cose brutte accadono alle brave persone di Hen Marx. Per il terzo, Guerra e pace di Tolstoj. Sulla sedia di Haïm Péri, 79 anni, del kibbutz Nir-Oz, un libro per bambini che leggeva alla nipote. Al piccolo Bibas, tratto da Nir-Oz, un libro per bambini Dov’è Plutone? della poetessa Léa Goldberg. Per Dor Kaplan, 68 anni, abbiamo scelto Cento anni di solitudine di Garcia Marques. Ad alcuni degli ostaggi, quelli liberati nel primo scambio, sono state rimosse le sedie corrispondenti. Questo è il caso di un giovane per il quale avevamo scelto Se è un uomo di Primo Levi.
Molti lettori tra gli ostaggi. Cosa stanno facendo oggi? Cosa fanno? Esiste un compagno di carta che li tiene per mano nella solitudine della loro prigione? Quanti di loro sono rimasti in vita? Come fanno a svegliarsi ogni mattina senza altro piano se non la speranza di sopravvivere? Come affrontano una condanna proclamata ogni mattina e ribadita ogni sera?

Il giorno dopo il 7 ottobre, guarda caso, in Israele, il libro di Primo Levi Se è un uomo essere pubblicato in una nuova traduzione.

All’improvviso abbiamo avvicinato i due eventi. Primo Levi racconta che mentre era ad Auschwitz continuava a fare lo stesso sogno in cui raccontava la storia della sua deportazione, ma nessuno gli credeva. Ci ha provato e riprovato per tutta la vita, senza successo. E finiva per chiedersi se ne valeva la pena, se era bene far sì che il ricordo di quanto gli era accaduto sopravvivesse in una forma o nell’altra. Si è perfino chiesto, rivolgendosi ai suoi lettori, come stabilire un legame con uomini e donne privati ​​della loro umanità. Si sarebbe reso conto ben presto che questo legame non esisteva, che era impossibile, ma che doveva cercare di intrecciarlo con la scrittura, con il pensiero, con le azioni. Che fosse un dovere assoluto, una promessa per i dispersi e un patto per il futuro.
L’assalto del 7 ottobre di un anno fa, le stragi perpetrate, la detenzione di ostaggi hanno riportato alla mente immagini della Shoah. La visione di questi bambini dei kibbutz che cercano di sfuggire agli assassini di Hamas nascondendosi in un armadio, o sotto un letto, o in un rifugio, o in una stanza sigillata, ha alimentato queste connessioni, anche quando la maggioranza dell’opinione pubblica potrebbe essere scioccato.
Il paragone era ovviamente offensivo, ma una delle lezioni di Primo Levi è che l’intero processo inizia con una disumanizzazione del nemico, e alla fine della catena troviamo invariabilmente il “Lager” (il campo nazista). . Se il primo riflesso porta a vietarsi il confronto, il secondo trova sempre dei vantaggi nel confronto.
Il libro di Primo Levi invita proprio a queste connessioni. Quando fu pubblicato per la prima volta tutti si interrogarono sulla natura enigmatica del titolo. Se è un uomo Si stava rivolgendo ai carnefici? Si trattava forse della poca umanità che la coscienza dei carnefici riusciva a nutrire? Rimaniamo ancora uomini dopo aver attraversato questi massacri? Allo stesso tempo, i carnefici erano assenti dal libro. Non sono apparsi. Non interessavano l’autore. Ciò che serviva era la comunità delle vittime, il modo in cui si esponevano l’una all’altra, la profondità di umanità che ciascuna poteva risvegliare in sé per resistere alla prova.
Se è un uomo si occupa infatti, lo dice lui stesso, dell’architettura umana e sociale del campo, di detenuti di ogni provenienza e provenienza, di anime soprattutto semplici che si sono trovate a confrontarsi con la perdita dell’amicizia, della fraternità, della compassione e si sono viste trasformate dalla vita dentro, incapace di resistere alla guerra di tutti contro ciascuno.
In questa battaglia crudelissima, tutti erano isolati, soli con se stessi. La moralità, il bene, il male, il giusto, l’ingiusto, la famiglia, il destino, la comunità, l’essere ebreo, la nostalgia, il futuro… Tutto questo apparteneva al mondo esterno al campo, e chiunque si legasse ad esso riduceva le sue possibilità di sopravvivenza. Levi percepì una divisione tra due gruppi all’interno del campo: i naufraghi e i sopravvissuti. I sopravvissuti erano coloro che erano riusciti a sviluppare tutti i tipi di tecniche di resilienza. I naufraghi non erano necessariamente i più deboli. Sono stati loro a lasciarsi andare. In ogni caso non sono morti davvero. Svaniscono, si dissolvono, si addolciscono. E l’autore è rimasto discreto riguardo alle condizioni della morte dei suoi compagni di prigionia. “Molte cose sono state dette e fatte tra noi, ma non dovremmo tenerle nella memoria.”

In questo racconto che diventerà una delle testimonianze più lette e tradotte al mondo, racconta delle mamme che preparavano i giocattoli per i bambini e li accompagnavano nell’ultimo viaggio verso l’ignoto. Ma non mostra alcuna menzione dei suoi sentimenti.
Scrive Primo Levi: “Una donna aveva trascorso tutto il viaggio al mio fianco, stretta come me tra un corpo e l’altro. Ci conoscevamo da molto tempo e la sfortuna ci aveva colpito insieme, ma non sapevamo molto l’uno dell’altro. Ci siamo allora detti, in quest’ora decisiva, cose che non si dicono tra vivi. Ci siamo salutati, ed è stato breve: ciascuno si è congedato dalla vita congedandosi dall’altro”.

Ultimo libro, in uscita a fine ottobre 2024 Sabato prossimo ad Auteuil, lezioni di Levinas (edizioni del Cerf)

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