Ankara non è direttamente coinvolta nell'offensiva in corso nel nord della Siria; non sono stati ancora segnalati soldati turchi ad Aleppo (Siria), ma sembra chiaro che il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan le abbia dato il suo tacito sostegno.
La prima dichiarazione, rilasciata venerdì 29 novembre dal portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Oncü Keçeli, si concentrava sulla denuncia dell'intensificazione degli attacchi nelle ultime settimane da parte del regime siriano e del suo alleato russo nella provincia di Idlib (nel nord -Siria occidentale) piuttosto che sull’attualità. Attentati descritti come violazioni degli accordi conclusi tra Turchia (sostegno ai ribelli siriani), Russia e Iran (alleati di Bashar Al-Assad) nell'ambito del cosiddetto processo “Astana”, avviato alla fine del 2016 e dove Ankara aveva ottenuto il congelamento delle operazioni militari siriane e russe nelle regioni di Idlib. Il portavoce ha aggiunto che l'avvertimento della Turchia di fermare questi attacchi non è stato ascoltato.
Anche se non sono la maggioranza, alcuni gruppi ribelli vicini ad Ankara partecipano all'offensiva di Aleppo insieme al gruppo islamico radicale Hayat Tahrir Al-Sham (HTC), l'ex Fronte Al-Nusra, che ha rotto il divieto con Al -Qaeda. Tra questi, l'Esercito nazionale siriano (ANS), un raggruppamento di una decina di fazioni, senza una reale unità ideologica se non per essere molto anticurde, che la Turchia è riuscita a riunire dal 2017. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione con sede nel Regno Unito, HTC e ANS insieme avrebbero consentito la cattura di 21 villaggi a ovest di Aleppo nei giorni scorsi. È anche l'ANS che, secondo l'agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu, domenica ha spinto il vantaggio più a nord-est di Aleppo, per bloccare il corridoio da Tall Rifaat a Manbij, sotto il controllo delle forze curde.
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Tanti gli eventi che riporteranno Ankara in prima linea sulla scena regionale. L’abbagliante offensiva dei ribelli su Aleppo evidenzia l’isolamento e la debolezza del regime di Damasco con cui Erdogan e il suo governo hanno cercato per due anni, invano, di negoziare la normalizzazione diplomatica. Il presidente Bashar Al-Assad ha chiesto in ogni fase dei colloqui il ritiro delle truppe turche dal nord del paese e la fine della collaborazione con l'opposizione siriana. Due termini che da parte turca sono sempre stati non negoziabili. Per Damasco si trattava di alzare la posta in gioco e mettere la Turchia in una posizione di pretendente. Una posizione che potrebbe evolversi nei prossimi giorni.
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