Al processo per stupro di Mazan, 51 uomini sono stati processati, giudicati colpevoli e condannati dal tribunale penale di Vaucluse. Ma quante altre hanno anche violentato Gisèle Pelicot senza mai essere identificate, per mancanza di immagini o salvate da foto troppo sfocate? “Laurent du Vaucluse”, “routier” o anche “Luc Pizza”: nascosti dietro questi soprannomi, questi uomini erano stati attirati anche da Dominique Pelicot sul sito coco.fr. Anche a loro il sessantenne, oggi 72enne, aveva consegnato la moglie, tramortita da ansiolitici e totalmente incosciente, per dieci anni, tra luglio 2011 e ottobre 2020. Come gli altri, li aveva fotografati e filmati , quindi archiviando con cura queste immagini sul suo computer o su vari dischi rigidi.
Nonostante il lavoro meticoloso degli investigatori, elogiato dalla stessa Gisèle Pelicot in udienza, a questi fascicoli non è mai stato possibile associare un’identità. Per quanto riguarda le foto del primo stupro di Gisèle Pelicot, la notte tra il 23 e il 24 luglio 2011, quando la coppia viveva ancora nella regione parigina, a Villiers-sur-Marne. O per il video del suo ultimo aggressore, “il motociclista”, la notte tra il 22 e il 23 ottobre 2020, a Mazan.
In totale, gli investigatori hanno registrato circa 200 stupri contro Gisèle Pelicot, sulla base di video e foto scattate dal suo ormai ex marito, di cui più di un centinaio dallo stesso Dominique Pelicot. Per le altre sequenze accertate di stupro su Gisèle Pelicot, sono visibili 72 autori. Una cinquantina furono infine processati dal tribunale penale di Vaucluse, ad Avignone, e condannati il 19 dicembre. Di cui 17 hanno presentato ricorso e dovranno essere ritentati, tra settembre e dicembre 2025.
Ma molti sono sfuggiti alla giustizia. Karim K., ad esempio, è morto prima del processo e quando la polizia è venuta ad arrestarlo, Jean-Pierre H. era appena stato sepolto. Per gli altri è stato impossibile identificarli. “Abbiamo alcune persone che abbiamo visto molto sfocate e non abbiamo potuto scattare foto”, ha spiegato il giudice istruttore incaricato di questa indagine, l’8 novembre, in tribunale, durante un processo straordinario durato quasi quattro mesi.
Per altri si trattava di immagini talvolta utilizzabili, ma che non corrispondevano ad alcuna foto già registrata dal sistema giudiziario nel fascicolo TAJ (Trattamento di affari giudiziari) o non potevano essere associate ad alcun numero di telefono. E né i software di riconoscimento facciale né le ricerche tramite social network sono riusciti a dare loro un nome. “D’intesa con la polizia giudiziaria, ad un certo punto abbiamo deciso di interrompere le indagini. Avremmo potuto indagare per dieci anni”, ha detto il magistrato durante l’udienza, sottolineando la necessità di un processo abbastanza rapido, soprattutto per la vittima.
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