Testimonianza
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Il medico americano, di fede ebraica, ha trascorso tre settimane all’ospedale europeo di Gaza cercando di curare le vittime dei bombardamenti. È tornato profondamente scioccato e fatica a cercare di allertare l’opinione pubblica, a costo di amicizie spezzate e di un’ondata di odio.
A volte gli vengono le lacrime. Ma mai all’evocazione della paura che era la sua, e che lo accompagna da queste tre settimane di primavera trascorse a vedere riversarsi nei corridoi dell’ospedale europeo di Gaza, tutto lo spettro del dolore e dell’orrore scatenati nell’ultimo anno sul Enclave palestinese e i suoi prigionieri. No, quando il dottor Mark Perlmutter si ritrova ancora in movimento mentre ci racconta la sua storia, non è tanto il terrore di cui è stato testimone, ma ciò che si è lasciato alle spalle e la sua incapacità di cambiarne il corso.
Già all’inizio di aprile, sul posto, aveva iniziato a postare sul social network. Discorsi ai quali ha opposto la sua testimonianza e le dure immagini della litania di bambini torturati dalla sua sala operatoria, brandendo ogni volta, come accreditamenti, sia la sua geolocalizzazione, sia la sua aura di vicepresidente del collegio