Il Festival Lumière 2024 rende omaggio al cinema lirico di Xavier Dolan

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Domenica 13 ottobre, Xavier Dolan è stato al Pathé Bellecour per tenere la sua masterclass guidata dalle domande della giornalista Virginie Apiou. Un’occasione per ritornare alla sua concezione della settima arte, tra fuga dalla vita, emozioni traboccanti, amore, amicizia e soluzione ai problemi di comunicazione umana.

Il regista, che ha esordito confidando di aver visto Titanico ben 300 volte è tornato per la prima volta al suo modo di creare, all’origine dei suoi film: “Può iniziare con un brano musicale, un momento, una trama, inizia con qualcosa di abbastanza specifico e poi prende ampiezza attraverso la discussione con collaboratori e altri artisti”.

Nel resto dell’intervista ha anche menzionato l’importanza di sentire qualcosa di molto forte, di sentire un reale bisogno di creare. Infatti, preoccupato per l’attuale situazione del mondo in cui viviamo, ha lasciato per un po’ da parte la creazione. Ma, nonostante siano sei anni senza aver girato un film, dice che non se lo è perso. La spiegazione: si rifiuta di raggiungere risultati senza un profondo bisogno di condividere qualcosa di nuovo. Per lui è importante non ripetersi. Ad esempio, ne è consapevole quando se ne va Proprio la fine del mondo nel 2016, alcuni volevano un secondo mamma, ammette che sarebbe stato un conforto ma preferisce rischiare.

Da notare che ha comunque portato al pubblico del Lione una buona notizia confermando di avere un progetto in lavorazione. È un film che fonde diversi generi, presentando in particolare aspetti orribili e ambientato nel 19° secolo.

Nel frattempo potete trovare il suo ultimo libro L’amicizia nel cinema che non mancò di dedicare al Pathé e al Village Lumière. Questo libro è stato pubblicato per fornire agli spettatori fotografie di reportage sul suo film Mamma (2014). Un libro che mette in risalto in particolare il senso delle decorazioni di Xavier Dolan: “un arredamento che vuole essere brutto… Perché per me ciò che è bello è la cura dei dettagli che si affina costantemente. ». Come il pittore che sceglie la sua materia: la tavolozza, il pennello, ecc., il cineasta prende i suoi strumenti nel loro insieme. Il libro sottolinea anche l’importanza dei costumi: la scelta dei colori, il senso delle texture, la brillantezza… Il regista ha anche confidato di aver dato all’attore il diritto di guardare il suo costume “perché questa è la sua prima riga”. Come nella vita, gli abiti che indossiamo dicono molto della nostra personalità.

Inoltre è tornato anche alla seconda dimensione del linguaggio cinematografico, quella complementare all’immagine: il suono.

Innanzitutto il lavoro vocale che permette all’attore di diventare “altro”. Soprattutto perché i suoi film parlano essenzialmente di incomunicabilità, di personaggi che non riescono a trovare le parole ma si esprimono con grida, tonalità, ritmo, volume di voce, quando non sono immersi nel silenzio.

Poi ha menzionato l’importanza per lui delle canzoni di varietà nei suoi film. Per lui segnano una certa semplicità, una cultura popolare più accessibile, diventando così un mediatore di emozioni, una soluzione per superare l’ineffabile, l’impossibilità di comunicare attraverso le parole. Ma al di là di questi brani, la musica è insita nei film, anche attraverso i dialoghi che hanno un certo ritmo, che diventano corali.

Insomma, tutti questi elementi servono alla dimensione lirica del suo cinema, che presenta sempre l’espressione di emozioni sovradimensionate. Per lui, infatti, “è viscerale, fisico fare un film, potrei fare un film meno cruento ma…non ci ho mai provato”. Ammette che il suo cinema non è unanime, ma difende l’importanza per lui di preservare nei suoi film questo nucleo emotivo, l’aggressività reale, la violenza per la sensibilità dello spettatore.

Il regista di Mommy è tornato sui grandi temi del suo cinema. Da un lato si è concentrato sull’importanza dell’amore e dell’amicizia sottostante: “Le grandi storie d’amore della mia vita sono storie di amicizia. È quindi naturale che si rifletta nei miei film. » Ha citato l’esempio di Mattia e soprattutto (2019) che per lui era un film di ricostruzione e guarigione. D’altra parte, ha sottolineato che il fallimento, l’austerità, il disfattismo non sono mai situazioni iniziali né la firma di un film perché il cinema è una via, una fuga, un’eco della vita per vivere meglio. Vuole presentare personaggi resilienti, che resistono, che hanno speranza in modo da poter esorcizzare i nostri fallimenti.

Xavier Dolan ci ha quindi offerto una master class piena di umorismo, emozione e riflessioni cinematografiche.

Se questo articolo ti ha fatto venir voglia di rivedere i film di Xavier Dolan, vieni nelle sale di Lione per il seguente programma:

Lorenzo Comunque : UGC Ciné Cité Internationale alle 19:20
Mamma : Confluenza UGC di 20 14h
Proprio la fine del mondo: Pathé Bellecour sono le 17:22

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