“Contrariamente al desiderio pubblico, l’abate Pierre non è mai stato un santo”

“Contrariamente al desiderio pubblico, l’abate Pierre non è mai stato un santo”
“Contrariamente al desiderio pubblico, l’abate Pierre non è mai stato un santo”
-

La Chiesa ha deciso di aprire i suoi archivi ai ricercatori senza attendere la scadenza del consueto periodo di settantacinque anni dalla morte dell’oggetto di studio. In questo caso, l’Abbé Pierre. Non ci siano però equivoci. Non si tratta di documenti raccolti in vista della beatificazione. Non c’è mai stato alcun dibattito su questo argomento.

Sebbene la Chiesa abbia celebrato i funerali del sacerdote ormai controverso quando morì il 22 gennaio 2007, all’età di 94 anni, e abbia reso omaggio alle sue innegabili opere di carità e alle vocazioni da lui ispirate, non ha mai preso in considerazione la beatificazione dell’uomo, né lo ha considerato un santo. Lui stesso, del resto, si era escluso dal processo confessando a Frédéric Lenoir, nel libro di interviste che ha rilasciato allo scrittore nel 2004, di aver avuto rapporti sessuali durante il suo sacerdozio.

L’Abbé Pierre, “la personalità preferita dai francesi”

Resta l’aura, per non dire l’alone, con cui il pubblico incoronò il personaggio, durante la sua vita. Questa santificazione popolare fu ratificata dai media quando fu menzionato il nome dell’Abbé Pierre, elevato al primo posto, per decenni, di “personalità preferita dai francesi”. E questo nonostante fossero stati lanciati segnali di allarme. Ricordiamo il suo sostegno alle dubbie tesi di Garaudy. Ricordiamo l’ondata di indignazione che accolse le sue confidenze a Frédéric Lenoir.

Avremmo dovuto prestare maggiore attenzione alle parole di Roland Barthes, pubblicate nel 1957, sotto il titolo Mitologie. Il semiologo sottolineava l’importanza delle caratteristiche fisiche dell’abate, che si era fatto il volto del lavoro per “riunendo le figure della leggenda e quelle della modernità”Gentilezza di sguardo, taglio di capelli francescano, barba missionaria, “tutto questo completato dal sacerdote-lavoratore canadese e dal bastone del pellegrino.” E per aggiungere “in una parola, l’apostolato si presenta fin dal primo minuto tutto pronto, tutto equipaggiato per il grande viaggio delle ricostruzioni e delle leggende”.

Dobbiamo chiederci oggi se il tuono che accompagna la catena di accuse di violenza sessuale, molestie e abuso di fiducia ricevute contro il fondatore di Emmaüs non sia l’eco dell’amarezza di un pubblico brutalmente disilluso, perché alla fine è lui che ha portato il sacerdote in cielo, lui che ha custodito la sua leggenda, nel bisogno che è stato suo, fin dall’alba dei tempi, di toccare il mantello di un santo. Lui che aveva chiesto che alla morte del sacerdote si aprisse la sua causa, a cui mons. Stanislas Lalanne, allora segretario generale della Conferenza episcopale di Francia, aveva risposto che la beatificazione era il risultato “di un rigoroso processo a lungo termine”e mai “una decisione presa a caldo.”

Una santificazione popolare ingiustificata

Dunque, l’Abbé Pierre non era un santo, tutt’altro. Nonostante la sua formidabile risposta al famigerato inverno del 54 e il movimento da lui scatenato a favore dei poveri e dei senzatetto. Nonostante i bambini che salvò dai rastrellamenti nazisti. Nonostante le sue azioni nella Resistenza e in molte altre opere di beneficenza. Nonostante il sostegno di penne famose come quella di Albert Camus.

Si tratta di qualcosa di ben diverso quando si tratta di santità, che non è altro che l’imitazione dell’unica santità che esiste, quella di Dio la cui immagine Dio ha dato incarnandosi nel suo stesso Figlio, Gesù. Un santo è un eroe dell’assoluto, uno la cui vita, per conformarsi alla trascendenza, trascende ciò che tocca. Il santo trae il suo splendore non dai suoi atti, ma dal suo potere di Essere : ciò che è dentro agisce all’esterno.

Non si converte. È una conversione: si è rivolto, con tutta la sua anima, verso il bello, il buono, il vero. Nessuna violenza può entrare in questo movimento. Così il santo non è colui che è puro, ma colui che purifica. Non è colui che è senza peccato, ma colui che se ne è liberato di più. Il santo “si è evacuato per far posto all’Ostia sacra alla quale affida il suo umile dominio”scrive Gabriel Marcel che conclude: “Immediatamente tutto si rinnova; l’impossibile di ieri diventa la realtà di oggi.”

Il bisogno avido di santi

Niente che corrisponda al ritratto spirituale dell’Abbé Pierre, ahimè! Ma allora, come si è lasciata confondere la maggioranza? Forse, come Roland Barthes, dovremmo porre la domanda in modo diverso, e interrogarci sull’enorme consumo che il pubblico fa degli accessori della santità – dal guardaroba ai comportamenti altruistici, rinomati dai media “santità secolare”. È perché il pubblico“non ha più accesso all’esperienza stessa dell’apostolato se non attraverso il suo bric-à-brac e abituandosi a prendere una coscienza pulita davanti all’unico deposito della santità” ?

Dovremmo ancora preoccuparci, come Roland Barthes, ai suoi tempi? “di una società che consuma il manifesto della beneficenza così avidamente che dimentica di mettere in discussione le sue conseguenze, i suoi usi e i suoi limiti” ? Dovremmo concludere che oggi siamo decisi a rompere la statua dell’Abbé Pierre nella misura del desiderio che avevamo di farlo santo? E se lo abbiamo voluto così fortemente, non è forse perché lui ha offerto “l’alibi che una buona parte della nazione si concede, ancora una volta, per sostituire impunemente i segni della carità alla realtà della giustizia” ?

-

PREV la partita immaginata da Panayotis Pascot e Fary su CANAL+ realizza un inizio record
NEXT PSN Down (30 settembre / 1 ottobre 2024)