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Tra “Quei bravi ragazzi” e il cinema di Xavier Dolan

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uff amore lavora a pieno ritmo quando Lellouche si permette di spingere al limite il suo approccio massimalista ed eccessivamente estetico, ma si sente ancora…

Si dice spesso che ogni regista aspira a dirigere un musical. E questo probabilmente vale anche per il film di gangster di grande successo.

Con uff amorel’attore e regista francese Gilles Lellouche tenta la fortuna – in un certo senso – nella tradizione dei (molto) lungometraggi di Martin Scorsese, ma sostituendo i Rolling Stones e il rock degli anni ’60 con The Cure, Billy Idol e i sintetizzatori degli anni ’80, cospargendo poi un piccolo strato del cinema di Xavier Dolan.

Il lungometraggio ha riscosso un successo impressionante anche in Francia, registrando ben 4,6 milioni di entrate.

Ma di cosa si tratta questa proposta che ha così affascinato le generazioni più giovani? Già il giovane Clotaire (Malik Frikah), un piccolo delinquente che crede di avere tutto ciò che può e si avvicina al mondo che lo circonda come a un parco giochi senza limiti, accumula confusioni e misfatti come farebbe un giocatore oggi. Gran furto d’auto.

Almeno è così finché un giorno i suoi occhi non incontrano quelli di Jackie (Mallory Wanecque). Come vuole la tradizione, gli opposti alla fine si attraggono e i due adolescenti si innamorano perdutamente l’uno dell’altro.

La loro avventura è tuttavia destinata a prendere una svolta distruttiva quando Clotario attira l’attenzione di un leader criminale convinto di poter trarre profitto dalla sua aggressività e dalla sua incoscienza.

Dopo un’apertura tanto tragica quanto sconvolgente, Gilles Lellouche dedica più della metà del suo film alla gioventù selvaggia dei suoi due protagonisti nel cuore del nord della Francia alla fine degli anni ’80.

Ed è sicuramente in questa parte dell’adattamento del romanzo di Neville Thompson che il regista ha investito di più, accumulando immagini forti, sequenze oniriche e slanci formali molto forti, arrivando addirittura a offrirci un colpo di fulmine coreografato al ritmo di sublime e senza tempo “A Forrest” del gruppo The Cure.

uff amore del resto funziona a pieno ritmo quando Lellouche si permette di spingere al limite il suo approccio massimalista, estetizzando con invidiabile tatto la sua grande storia d’amore giovanile, proprio come il primo contatto del suo protagonista con la criminalità organizzata.

Poi c’è il resto del film, dove ritroviamo i due protagonisti (oggi interpretati da François Civil e Adèle Exarchopoulos) dopo dieci anni di separazione. Uno cercherà di recuperare il tempo perduto imponendo il suo ritmo e i suoi metodi, mentre l’altro non si è mai ripreso veramente dalla fine frettolosa della loro storia, accontentandosi di vivere contento, ma senza passione tra le braccia di un ricco uomo d’affari.

Il montaggio poi alterna la storia di questi due esseri che occupano permanentemente un angolo dei pensieri l’uno dell’altro, ma che ora sono separati l’uno dall’altro.

Anche l’ultimo atto si rivela particolarmente brutale, mentre Clotario riprende le sue scappatelle alla maniera di una forza cruda e inarrestabile, ma che tuttavia chiede solo di essere domata dalla prescelta del suo cuore.

Se François Civil e Adèle Exarchopoulos mettono in risalto tutta la loro intensità drammatica, Lellouche rivela soprattutto il grande talento dei giovani Malik Frikah e Mallory Wanecque, oltre a presentare personaggi secondari altrettanto ben disegnati, e perfettamente interpretati da Alain Chabat, Benoît Poelvoorde, Élodie Bouchez, Vincent Lacoste e Raphaël Quenard.

Il problema è che il cerimoniere si permette un cambio di rotta rispetto all’esito annunciato all’inizio del corso che cambia sensibilmente la situazione in termini di visione della storia che è sospesa nella nostra testa da più di 150 anni. minuti. Una tale deviazione sarebbe andata meglio se uff amore era stato attento a non iniziare la sua corsa frenetica su una strada del genere « flashforward ».

Tutto pone le basi per un finale più dolce che amaro, allo stesso tempo semplicistico, crudo e concreto (per un contesto del genere). È probabile che una storia così intensa, rumorosa e assertiva, portata avanti costantemente a pieno ritmo, non potesse che concludersi con una tale pausa.

Senza reinventare il genere e nemmeno sostituire alcuni dei suoi meccanismi più usurati, Lellouche vince la sua scommessa trattando il suo progetto con la stessa passione ardente di quella che unisce i suoi due protagonisti.

Nelle parole dei Beatles: ” Tutto ciò di cui hai bisogno è l’amore “.

Anche se quelli di Louise Latraverse avrebbero riassunto altrettanto bene il tutto e i suoi scopi: “Amore, piangi! »

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