Dimenticatevi il simpaticissimo remake confezionato dalla Disney, quello vero Antartideè l’originale di Koreyoshi Kurahara e ancora non riusciamo a superarlo.
Nessuno lo ignora l’industria di Hollywood è una grande macchina da lavanderia pronta a disinfettare tutto ciò che tocca. Così, quando cerca di modernizzare opere la cui cultura è l’antitesi del diktat americanocentrico, il risultato è tutt’altro che all’altezza e perfino irrilevante. IL Godzilla di Roland Emmerich, per quanto generoso e divertente, interpreta egregiamente ad esempio la stupida e cattiva occidentalizzazione del suo omologo giapponese, e lo stesso vale per Antartide.
Nonostante il successo di pubblico e di critica della versione originale nel 1983, la versione Disney uscita nel 2006 con Paul Walker lo ha messo in ombra. Tuttavia, il film diretto da Koreyoshi Kurahara lo schiaccia facilmente Zanna Bianca dal pover’uomo firmato Frank Marshall. Il budget può essere lo stesso per entrambe le produzioni (40 milioni di dollari), sostiene la sensibilità mostrata dal cineasta giapponese autenticità e radicalità intoccabilisoprattutto per l’azienda con le grandi orecchie.
MONTAGNE E MERAVIGLIE
Quando il cinema porta in primo piano i nostri amici a quattro zampe, spesso è così rendere omaggio ai loro valorosi modelli in carne ed ossa. Abbiamo tutti in mente Balto e Togo, così come i film ispirati alla loro storia vera, e Antartide procede dalla stessa logica raccontando eventi accaduti nel 1958, durante una spedizione guidata nel mezzo del continente bianco da scienziati giapponesi, responsabili di quindici cani da slitta.
Il vero punto di svolta in questa storia arriva quando al team scientifico, guidato da Ushioda (Ken Takakura), viene ordinato di lasciare la base e abbandonare lì il branco mentre una tempesta minaccia la regione. Condizioni climatiche che impediscono qualsiasi operazione di salvataggio, lasciando gli animali, legati e presto senza cibo, al loro triste destino. Ma grazie alle forti teste del gruppo, fratelli Taro e Jiroi cani si liberano e cercano di sopravvivere contro gli elementi.
Alcune malelingue diranno che il film è invecchiato, che è tutt’altro che “sexy”, e non possiamo biasimarli così tanto. Antartide è quasi un mockumentary. Lontano dal ritmo frenetico delle grandi produzioni hollywoodiane, il regista giapponese predilige lunghi scatti contemplativicatturato sul posto, per ricreare al meglio la bellezza e l’ostilità di un ambiente regolato dalla Natura stessa. Al di là dello scioglimento dei ghiacciai e dei venti polari, è la legge della giungla, o meglio del lastrone di ghiaccio, a imporsi tra gli animali.
A questo proposito, pensiamo ancora a questa foca indifesa, attaccata dal branco, o a questa orca che ferisce uno dei cani. No, niente è abbellito e la voce fuori campo atonale che descrive gli eventi in maniera imperturbabile (e allo stesso tempo, questo è il suo ruolo) contribuisce ulteriormente all’implacabile iperrealismo del film. Questa attenzione agli spazi, alla temporalità, è anche la felice conseguenza diuna ripresa durata tre anni.
IL POLO DI EMERGENZA
Quante volte un cane è sopravvissuto al peggiore cataclisma in nome del cinema? Ricordiamo tutti il labrador Giorno dell’Indipendenza (ancora il buon vecchio Emmerich) che evita per un pelo l’incenerimento. Quindi sì, è consuetudine accarezzare il pubblico per risparmiare questi coraggiosi cagnolini. Ma questo significherebbe dimenticare I cani della pestee quindi Antartidedove il migliore amico dell’uomo sbava come mai prima d’ora, anche a costo di morire freddamente davanti ai nostri occhi.
Questa è ancora una delle grandi differenze rispetto al remake del 2006, qui non si scende a compromessi con la dura realtà dei fatti. L’avventura inizia con quindici cani e alla fine solo due rimangono vivi. I risultati sono disastrosi, in quanto la versione liofilizzata della Disney salva quasi l’intero pacchetto (non dovremmo scioccare i bambini piccoli). Nel caso del film giapponese, non c’è nemmeno l’eroizzazione degli animalitutti si sottopongono e si adattano nonostante le disparità di temperamento del gruppo che garantiscono migliori possibilità ad alcuni (che vuoi, è selezione naturale).
Dal lato degli omicidi, Antartide sa anche rinnovarsi e ci mette a confronto con situazioni un po’ traumatiche. Tra un annegamento sotto un blocco di ghiaccio, una caduta da una ripida montagna e qualche altra gioia, la telecamera non ha paura di osservare i cani che gradualmente diminuiscono e alla fine muoiono. Per ribadire il punto, abbiamo diritto a sottotitoli sotto forma di epitaffi che confermano la morte di ciascun animale: “ Deri, 6 anni, anzi Asahikawa« , « Shiro, 3 anni, nato a Kio“, e vi risparmieremo il resto.
Naturalmente, e per fortuna, non tutto è nero in questo inferno bianco. E a volte si avverte chiaramente quanto queste distese innevate e l’assenza dell’uomo permettano al branco di sfogarsi. L’Antartide diventa niente più e niente meno che il loro parco giochi. Il regista si compiace quindi di vederli investire questo ambiente senza risparmiarsi, tutte le riprese aeree servono proprio a dare loro libero sfogo e a restituire loro un briciolo di potere. .
COME LA NEVE AL SOLE
Dove Antartide si mostra anche molto radicale, è nel ricorso a pregiudizi formali o estetici molto più sperimentali della media. Bisogna ovviamente iniziare con la citazione la colonna sonora elettronica di Vangelisil direttore d’orchestra già al lavoro sulle partiture di Blade Runner et Carri di fuocoche avvolge la storia in un’atmosfera degna di un film di fantascienza.
Tuttavia queste scelte musicali non tradiscono mai l’iperrealismo della compagnia. Anzi, poiché ogni suono, anche sintetico, rimanda l’esperienza sensoriale del pack. Lo stesso vale per il lavoro sull’immagine che abbraccia la vertigine dei cani, soprattutto durante una scena di aurore polari affascinante e molto strana, dove la soggettività degli animali sembra distorcere le luci del cielo (in ogni caso , in quanto spettacolo luminescente, è qualcosa di diverso dalla tradizionale mappatura natalizia).
Questa aridità dello scenario, che privilegia la sensazione alla drammaturgia, è infine dovuta alla progressiva riduzione del tempo di presenza di Ushioda e degli altri personaggi umani sullo schermo. Anche se il regista non li estromette del tutto, continuando a raccontare i loro tormenti una volta tornati in Giappone, la cosa principale rimane l’avventura canina e l’esigenza di una trama fino al midollo, senza eccessivi antropomorfismi, mantenendo i cani bestie selvagge, con i propri istinti.
Esistono anche diverse versioni del filmcompreso uno previsto appositamente per il pubblico francese, il tutto troncato di almeno trenta minuti rispetto al taglio iniziale. Tanto vale dirlo subito, Antartide deve essere visto nella sua versione giapponese completa. Le avventure del branco si svolgono su una scala completamente diversa, e rileviamo maggiormente questo gusto per l’erranza, assente dalle specifiche a cui risponde la maggior parte delle produzioni occidentali.
Nel dipartimento dei film d’avventura sugli animali, Antartide Quindi resisti a tutta la concorrenza e mostra le tue zanne. Più radicale e crudele di quanto Jean-Jacques Annaud sia riuscito a realizzare in questo campo (anche se non lo dimentichiamo L’orso), questa sopravvivenza giapponese rimane una straordinaria anomalia e seppellisce facilmente, come avrete capito, il suo superfluo remake americano targato Disney. Che vuoi, l’identità giapponese e la cultura yankee non sono uguali, e va bene così!