Dopo la commedia romantica “Fragile” girata a Sète, la regista originaria di Montpellier Emma Benestan prende il genere per le corna e lo ribalta, con “Animale” girato in Camargue. Imperdibile nelle sale da mercoledì 27 novembre.
Con Fragile, il suo primo lungometraggio, Emma Benestan aveva firmato, dal nostro punto di vista, la commedia romantica più cool dell'estate 2021. Il fatto che fosse originaria di Montpellier e che il suo film fosse interamente girato a Sète, non era stato nulla in questa valutazione ma non non rovinare nulla neanche! “Dopo Fragile in cui ho provato a mettere in discussione la fragilità maschile in un genere considerato femminile, la commedia romantica, ho voluto questa volta, al contrario ma in modo molto complementare, mettere in discussione il potere di una donna in un altro, molto maschile, il western.” Versare animatoil suo secondo lungometraggio, molto diverso, altrettanto sorprendente, ancora più sorprendente, è stato in Camargue che ha installato la sua macchina da presa… anche se aveva giurato di girare ancora lì.
Le riprese in Camargue
“Ho fatto lì due brevi documentari e ogni volta mi dicevo “mai più”, è così complicato per tutta una serie di ragioni, compresi gli animali (è pericoloso, difficile da filmare…) e però ogni volta, ritornato lì, sono rimasto affascinato dalla Camargue e dai suoi tori!”sorride il regista. Il suo primo documentario, A World Without Beasts, si concentrava su un giovane apprendista addestratore, il secondo Occuparsisu Marie Segrétier, l'unico rasoio Camargue.
È stata lei a ispirare Nejma, l'eroina dianimato interpretata dalla sua attrice preferita, la sua amica nella vita reale, Oulaya Amamra. Nejma si prepara così a fare il suo debutto nelle gare della Camargue. In questo ambiente esclusivamente maschile e francamente macho, la sua presenza risalta ma ha carattere, un certo talento per i tori e gli amici. Una sera, dopo una gara in cui l'ha vista rimuovere con successo gli attributi per la prima volta, Nejma festeggia con i suoi compagni raseteurs. Una grande festa. Il giorno dopo non ricorda più nulla ma si scopre leggermente ferita… e leggermente diversa
Ibridare i generi
animato avrebbe potuto accontentarsi di essere una storia di emancipazione femminista in un ambiente culturale e sportivo molto particolare ed esclusivo. Avrebbe anche potuto restare fedele all'avventura western che il suo ambiente camarghese gli impone naturalmente, di cui va sottolineato quanto potentemente amplificata dalla fotografia di Ruben Impens e perfettamente rispettata dalla cura documentaristica e dalla scelta di coinvolgere quante più popolazioni locali possibile, non professionisti.
Ma Emma Benestan osa anche spingersi verso i “generi cattivi”, in questo caso il racconto, il fantasy e l'horror. E come Julia Ducournau (Titane), Coralie Fargeat (La sostanza), Thomas Cailley (Il regno animale) e Stéphan Castang (Vincent deve morire) di cui ci sembra condividere la visione disinibita, non ci va timidamente, ma pienamente e consapevolmente. “Può sembrare tanto per un solo film ma in realtà, nella vita, siamo tutti molteplici!”supplica il regista. “Amo l'ibridazione perché credo che ci racconti meglio e di più. Mi piacciono i film che fanno passi laterali come Near Dark di Kathryn Bigelow, un grande riferimento per me, che è allo stesso tempo un film romantico, un western, un road movie, un vampiro film, un dramma familiare… Questa ibridità mi parla, definisce chiaramente il modo in cui voglio fare cinema!”
Come era prevedibile, il mezzo di genere permette a Emma Benestan di esplorare non frontalmente ma emotivamente, vale a dire senza il peso del didascalico ma con la chiarezza dell’allegorico, una serie di questioni che muovono oggi il corpo sociale e il corpo stesso. “Il genere ti consente di metaforizzare questioni politiche e molto interessanti. Come “Uscire dal razzismo e dalla lotta di classe” o “Segue l'abuso sessuale”nota il regista. Tra gli altri gesti forti di cui vi lasciamo il piacere (anche lo shock) della scoperta, offre, come le sue sorelle nell'audacia transfittiva sopra menzionate, un altro modello di rappresentazione ad uso di un cinema che ama ma di cui riconosce la propensione a mostrare eccessivamente il corpo vittimizzato e traumatizzato della donna: “Nel cinema di genere, vogliamo un altro modo di parlare del corpo, di dargli un potere, al limite della mostruosità, per mostrare che può difendersi, che può avere rabbia. Oggi siamo in un altro posto del nostro corpo: il nostro corpo può essere potente, può far male!”