“In a Black Bucket” è il titolo del tuo nuovo romanzo. Perché la scelta di un titolo del genere?
In origine c’è questo secchio nero dove, quando era ancora bambina, la narratrice fu posta e depositata sui gradini di un albergo a Tangeri. Dimenandosi così tanto, il bambino finì per rovesciare questo secchio, nero come la sua pelle, che rotolò giù per le scale e scaraventò la bambina sul marciapiede, proprio ai piedi di una coppia di passanti. È come una rinascita che sembra avvenire lì, soprattutto da quando la coppia decide di adottarlo. L’uomo, almeno, nonostante la riluttanza della moglie Ghita, che porta dentro di sé un pesante segreto e vive in una sorta di mondo feudale dove la maggior parte dei servi e delle balie, questi “Dada”, come venivano chiamati e che anche L’hanno seguita nella sua nuova casa dopo il matrimonio, erano neri. Il narratore vivrà quindi tra un padre amorevole e questa donna, Ghita, che nutrirà per lei solo una feroce gelosia e avversione.
In questa nuova opera affronti i temi del lassismo e della passività delle famiglie, dei destini, delle punizioni del passato, delle ferite… potresti dirci qualcosa in più a riguardo?
Questo romanzo parla di destini incrociati che si sfidano e si interrogano a vicenda. Alcuni, interamente tracciati, sono segnati dalla rassegnazione, soprattutto quelli dei servi che popolano la casa e di cui la misteriosa stirpe si interroga la narratrice come si domanderà, attraverso di loro, sulle proprie origini. Altri riguardano la lotta e la resilienza. Tuttavia, la maggior parte dei personaggi porta con sé ricordi pesanti e, sì, ferite profonde. Attraverso di essi, il racconto sonda universi che sollevano interrogativi sul diritto all’autodeterminazione, sulle ricadute devastanti dei traumi, della negazione, della violenza, sull’immagine di sé, sul pericolo dei silenzi e dei segreti, ma soprattutto, in definitiva, delle misteriose pratiche riparatrici. potere dell’amore.
Il tuo romanzo è anche una ricerca per riparare il dolore del passato?
È infatti alla morte del padre adottivo che la narratrice decide di lasciare Ginevra, dove si era recata a studiare dopo il diploma di maturità, per sfuggire a una relazione violenta e per ritornare sulle tracce della sua infanzia. Il romanzo si apre con un’alba pallida dove, dopo un’altra serata di furia, la narratrice riprende conoscenza, con il corpo dislocato, sul pavimento. È tempo per lei di partire, di attraversare le città europee care a suo padre, prendere la barca, tornare in Marocco e ritrovare i luoghi della memoria…
Durante il suo viaggio si scateneranno emozioni attraverso le quali il lettore scoprirà la sua storia marocchina tormentata dai tumulti delle donne addolcite dalla tenerezza infinita di un padre, il suo amore impossibile, in terra svizzera, per un “bambino di lì” tratto dai ricordi dello scoppio delle bombe a Beirut, del suo rapporto appassionato e tragico con l’uomo che ha lasciato per intraprendere questo tipo di viaggio iniziatico, delle sue amicizie salvifiche.
È una storia densa dove spero che il lettore vibri al ritmo dei movimenti interiori di Ghalia, del flusso e riflusso dei ricordi, dolci per alcuni, terrificanti per altri. Terrificante, come quello di Ghita, la sua madre adottiva, fredda, che non nutre per lui altro che profondo disprezzo e che, nata da una relazione adultera eppure accuratamente avvolta nel più grande segreto, finisce per scoprire la verità e mettere a morte, in un attimo di rabbia, la sua madre biologica davanti agli occhi delle donne e dei bambini che popolavano la casa…
Ripercorrendo le orme paterne, ritorna all’amore che salva dalla violenza, dal disprezzo, perché opera per ricomporre il corpo che la negazione opera per frammentare. E il suo è più rotto che mai. È un vero e proprio pellegrinaggio verso i luoghi dell’infanzia che la narratrice intraprende per riappropriarsi della sua storia nonostante la scomparsa del padre che l’aveva aiutata a costruire un’identità, una personalità singolare, un’individualità e che continua, anche nell’assenza, a salvarla. da se stessa poiché è la sua morte a dare a Ghalia la forza di staccarsi da una relazione tossica.
Metti in discussione la violenza domestica fisica ma anche psicologica e le sue conseguenze. Possiamo considerare la tua opera un pamphlet contro queste forme di ingiustizia?
Il romanzo si apre, infatti, con una scena in cui la narratrice, dopo aver appreso della morte del padre, riprende conoscenza a terra, con il corpo slogato, dopo una serata di violenza verbale e fisica inflittale dal compagno. Inoltre questa scena ha una carica simbolica e riecheggia un elemento che ho già menzionato: alla morte del padre, il cui amore le ha dato corpo e significato, la narratrice si disintegra. Tanto che questo lutto svolgerà il ruolo di catalizzatore che le permetterà di liberarsi completamente, finalmente, dall’influenza distruttiva dell’uomo con cui convive per intraprendere questo viaggio iniziatico che la riporterà a se stessa. .
Le ricadute sociali della violenza domestica sulla vita sociale? Sono devastanti. Nel romanzo, per restare in questo contesto, il compagno di Ghalia la isola da tutti quelli che la circondano, è geloso dei suoi amici, la mette sotto controllo, le vieta ogni interazione sociale, costringendola addirittura a lasciare il lavoro… Isolamento, reclusione in una una quotidianità terrificante che porterà Ghalia, soggetta ad allucinazioni in questa cella eretta intorno a lei, quasi alla follia.
È anche uno schizzo dei rapporti umani, in particolare tra le donne in Marocco…
La storia ruota molto attorno alle donne. In questi momenti assume spesso le sembianze di un racconto, e la scrittura si fa più lirica. Il mondo femminile viene presentato come un universo affascinante e inquietante, a volte protettivo e rassicurante, a volte spietato. Un universo incantevole di canzoni, danze e poesia, ma anche di intrighi e tragici segreti.
In quest’opera hai adottato sia la scrittura letteraria che quella giornalistica. È una scelta o un riflesso naturale del giornalista che sei?
Penso che non sia né una scelta né un riflesso. Inoltre, ho soprattutto trasposto la scrittura letteraria nel giornalismo, e non il contrario. Penso che i momenti in cui la narrazione diventa più neutra sono quelli in cui il narratore, per istinto di sopravvivenza, si pone, a distanza, come osservatore della propria esistenza. È questa distanza che, quando il dolore diventa troppo intenso, gli permette di continuare a parlare, a raccontare storie.
Nel tuo viaggio, ricco in più sensi, questo romanzo è una continuazione o una pausa?
Credo che questo romanzo sia in perfetta continuità con i miei libri precedenti. Non solo per i temi affrontati, ma anche per lo stile di scrittura ibrido, dove prosa poetica e poesia giocano un ruolo importante. Inoltre, i personaggi presenti nei romanzi precedenti vengono qui per incrociare la storia. I testi si rispondono, dialogano tra loro.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Attualmente sto lavorando ad una raccolta di poesie. Anche l’arte plastica occupa un posto importante, soprattutto perché i miei dipinti si ispirano ai miei testi.
Commenti raccolti da Ayoub Akil