Dipingere e comporre: un giardino segreto svelato
“Ho sempre dipinto” confida Zad Moultaka. Sebbene abbia iniziato contemporaneamente alla musica e alla pittura, ha mantenuto quest’ultima per molto tempo come uno spazio intimo, quasi segreto. Solo più tardi il dialogo tra le due discipline venne formalizzato nella sua opera: “Ogni pratica ha il suo spazio: la composizione musicale si svolge in uno spazio lento, mentre l’arte plastica si svolge in una dinamica rapida. Ma in fondo è lo stesso spazio, con facce diverse. »
Nato in Libano, Moultaka non forza mai la sua identità a rimanere impressa nelle sue creazioni. “La mia identità è parte di me come il mio braccio è parte del mio corpo. Non lo controllo: si manifesta nei profumi, nei colori, nei suoni, nei gusti. Le mie opere sono irrigate da tutto questo. » Questo approccio organico infonde alle sue creazioni una profondità particolare. La musica contemporanea come l’arte visiva diventano luoghi di eco, dove si intersecano storie antiche e questioni attuali.
Zad vuole lottare contro l’impoverimento spirituale di cui anche lui è vittima
Affascinato dai materiali storici e dalle storie antiche, Zad Moultaka trae un’energia unica dalle civiltà del passato. “A differenza del nostro mondo contemporaneo, le civiltà antiche erano legate all’invisibile, al mistero e al sacro. Questa energia traspare nei loro testi e nelle loro opere, e deve nutrirci oggi per salvare il nostro mondo dal suo aspetto terribilmente vuoto. »
Per l’artista creare è una forma di resistenza: “Voglio lottare contro l’impoverimento spirituale di cui anch’io sono vittima. Siamo tutti responsabili e dobbiamo aprire orizzonti più profondi. » In questa lotta trae ispirazione da figure luminose come Christian Bobin, Etel Adnan, Mark Rothko e György Ligeti. “Fortunatamente i geni continuano a illuminarci. »
“La mia identità è parte di me come il mio braccio è parte del mio corpo. Non lo controllo: si manifesta nei profumi, nei colori, nei suoni, nei gusti. Le mie opere sono irrigate da tutto questo” confida l’artista.
Shamashmix tra passato e presente
Šamaš, grida per la pace è irrigato dalla commistione tra passato e presente, immergendovi gli spettatori “un ciclo infinito” quasi 12 minuti. Come il palindromo del suo nome, si ripete all’infinito, illustrando l’alternanza di giustizia e violenza che sembrano inarrestabili e mettendo in discussione la capacità dell’umanità di rompere con i suoi demoni.
Presentato per la prima volta nel 2017, Shamash è oggi permeato di notizie dolorose. L’installazione, che fa sentire se non mettere a tacere la violenza, è in risonanza con i vari conflitti presenti in Medio Oriente, in particolare in Palestina e Libano. Tuttavia, Zad Moultaka si sforza di avvertire che l’opera è senza tempo e non è destinata a prendere di mira i colpevoli: “Šamaš parla della violenza umana, indipendentemente dall’identità. Non prende posizione, perché le vittime di ieri sono i carnefici di oggi, e viceversa. »
Attraverso questo lavoro Zad Moultaka lancia un vibrante appello: affinché la violenza finisca. Un grido di pace, da vedere e ascoltare, a ripetizione, all’Istituto del Mondo Arabo fino al 6 aprile 2025.