In occasione dell’apertura della 12a edizione del BAZR, che si terrà a Sète dal 5 all’8 dicembre, il festival e il Théâtre Molière uniscono le forze per accogliere questo giovedì 5 dicembre Jeanne Added. Voce mozzafiato, mai meno commovente, ai confini del post-punk e dell’elettro-pop, la cantante racchiude il suo repertorio e alcuni classici in una formula acustica singolare, accompagnata solo dal pianista Bruno Ruder e dal coro formato da Naël Kaced e Laëtitia N’dyaye. Un’esposizione da non perdere in nessun caso!
Ricordiamo ancora il tuo periodo al completo all’Opéra-Comédie, poi con l’Orchestra Filarmonica di Radio France al Teatro dell’Opera Berlioz, ed eccoti di nuovo nella nostra regione, al teatro Molière. Grazie già per essere tornati a far parte di questo “Another place, another tour” ma perché in versione acustica e in teatri e piccoli locali?
In acustica perché permette più libertà musicale, e poi, è più leggero in viaggio! E nei piccoli teatri, perché offre un’altra prossimità… e c’è anche la libertà. Le persone vedono i nostri volti, ci vedono mentre facciamo la musica. CCiò che mi piace davvero in questo momento è concentrarmi sul mio mestiere. Sull’atto del canto, su cosa scelgo come intonazione, su cosa suoniamo come sfumatura… cambia ogni sera, infatti, quindi è molto vivace. JPenso che sia davvero un’esperienza speciale per le persone da questo punto di vista, vale a dire che sono sempre le mie canzoni, e anche qualche cover, ma ogni sera eseguite, incarnate. Ed è molto, molto, molto divertente da fare. A volte sul palco dico che è come un recital o un tour canoro. C’è un po’ di scenografia, luci, ecc., ma è molto minimale. Quindi siamo concentrati solo sulla canzone.
Avevi già seguito un tour elettrico con un altro tour acustico attorno allo stesso album. Questo significa che le tue canzoni richiedono due letture?
No, le mie canzoni non lo richiedono necessariamente, ma forse sono io nel mio rapporto con la scena ad averne bisogno. IOmi piace sia fare qualcosa di spettacolare, di alta produzione, ecc., ma anche fare quello che sto facendo in questo momento. Penso che sia ancora uno dei miei terreni di gioco preferiti, il palco, e uno dei luoghi in cui mi ricarico di più nel mio rapporto con la musica. CÈ un posto che cerco costantemente e mi sta facendo molto bene.
L’approccio acustico comporta tuttavia un rischio…
È vero che si corre un rischio, rispetto ad uno spettacolo più prodotto o più scritto. Non c’è più nulla che possa addolcire ciò che presentiamo alle persone. Ci sono solo le nostre voci, Naël, Laetitia e io, e il pianoforte di Bruno, e ci presentiamo sul palco così come siamo quella sera e, come tutti gli altri, non siamo sempre dello stesso umore!
Nella versione acustica non sono solo le canzoni ad essere messe a nudo, ma anche i sentimenti che trasmettono, spesso molto intensi dentro di te. Dici che ti ricarica ma può anche essere faticoso, vero?
Come posso raccontarvi il mio rapporto con le mie canzoni?…. Le cariche emotive che portano con sé, posso evocarle o respingerle. Altrimenti, puoi immaginare, da allora soffrirei sempre molto! (ride) Anche se, in effetti, mi hanno fatto molto bene quando li ho scritti. Tra il tuo rapporto con le mie canzoni come ascoltatore e il mio, ci sono migliaia di volte in cui le ho ascoltate e cantate. È come quando ripeti tanto una parola, non è che perde il significato ma è così meno carico… D’altronde è una decisione che prendo quando interpreto se lasciarmi attraversare o meno. E poi ci sono un sacco di canzoni che non sono più rilevanti nella mia vita; il che non mi impedisce di interpretarli e di ricordare i miei stati di allora, senza riviverli!
Del resto, interpretarli è anche un modo per comprenderli e accettarli, e quindi non essere più lo strumento di questi sentimenti…
Assolutamente ! Questo è quello che dico spesso. Qui scrivere è salvare. Il fatto di poter trasformare in poesia, in canzone, in testo, le emozioni che ci travolgono, ci permette di metterle a distanza, ma conservando per esse una tenerezza pazzesca.
La versione acustica è anche una prova del fuoco per una canzone: se è buona così, andrà bene qualunque sia l’arrangiamento…
Credo che non sia dovuto solo alla canzone ma anche ai suoi interpreti. Se le mie canzoni suonano bene è anche grazie a Laetitia, Naël e Bruno.
Quindi parliamo di loro. Chi è Bruno Reder, il tuo pianista e arrangiatore?
Lui è un pianista di massa, come è un jazzista, fa la sua “salsa”. Se è troppo dolce glielo faccio sapere, ma lo fa anche secondo i suoi gusti, perché conta tutto quello che gli piace. Lo adoro. Ci conosciamo dai tempi del conservatorio (superiore nazionale di musica, a Parigi, ndr), suoniamo insieme da vent’anni. È un pianista come pochi che conosco, un pianista-batterista, un’orchestra tutta sua. È capace di commuoverti come un’alba o di preoccuparci, sconvolgerci, come una tempesta. È davvero sorprendente il modo in cui suona, è allo stesso tempo molto esperto e completamente sensibile. Sono incredibilmente fortunato a potergli affidare le mie canzoni.
Chi sono per te Naël Kaced e Laëtitia N’Diaye: coristi e/o cantanti?
Cantanti, sicuramente. È solo da quando li ho incontrati che ho scoperto di cantare con gli altri… e di avere in viaggio altre persone che capiscono qual è il mio lavoro! (ride) Dopo vent’anni di carriera, mi sento bene, devo ammetterlo! Mi sento molto meno solo. E’ molto gioioso, cantiamo prima e dopo i concerti. Per quanto diverse siano le nostre voci, si completano perfettamente a vicenda, così come le nostre energie. È fantastico, è un’amicizia che mi fanno cantare con me, credo!
Prima hai detto che avresti aumentato il tuo set di copertine… selezionate con cura, immaginiamo.
Si va dai Massive Attack a Prince, passando per Joni Mitchell e London Grammar. Infatti ho chiesto alle persone, tramite i social network, di darmi suggerimenti per delle cover… e alla fine mi sono dedicato a brani che ho sempre amato. Con questa sensazione di potermi permettere per la prima volta di farlo, non per appropriarmeli, ma per onorarli. Canto Stevie Wonder (“As”), per esempio; cosa che non mi sarei mai permessa qualche anno fa! È un po’ come la composizione: per poter iniziare a scrivere ci vuole questo momento in cui realizzi che non sei Mozart e in cui lo accetti; altrimenti è paralisi totale. Per l’interpretazione è un po’ lo stesso: so così bene dove mi trovo, come musicista, come artista, che posso confrontarmi con questi immensi interpreti. La domanda non si pone, non sarò mai Prince, né Stevie Wonder, né Joni Mitchell… ma perché non eseguire le loro canzoni che amo?
Bella anche la copertina perché crea un collegamento tra il palco e la sala!
Ma sì, condividiamo amori comuni!
Questo tour ti ispira, ti offre la possibilità di lavorare su un nuovo repertorio o è un tour esclusivamente epicureo o edonistico?
Sì, ha un piccolo lato del genere. Mi sento come se fossi in vacanza quest’anno. Non sto scrivendo in questo momento perché non ho letteralmente tempo, ma è in cantiere. Tra qualche settimana ricomincerò a scrivere e ne sono molto felice!
E il francese, ti concedi di più?
Sì, penso di sì. Inoltre, tutto quello che mi viene in mente in questo momento mi arriva in francese. Ma il fatto è che quando, come me, ascolti molta meno musica francese che americana o inglese, la musica ci viene meno naturale. E poi il francese produce altro. Sia nel senso che nella musica ci porta altrove.
Quindi vi seguiremo… altrove!
Grazie mille !