“Non soffrire da solo, parla con i tuoi vicini, i tuoi amici, consulta…”

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La cantante Céline Dion, durante la proiezione in anteprima del film documentario “I Am: Céline Dion”, all’Alice Tully Hall, a New York, il 17 giugno 2024. ANGELA WEISS/AFP

LL’ospite di “8 p.m.” non era né Gabriel Attal, né Jordan Bardella, né Jean-Luc Mélenchon. Un po’ di tempo sospeso alla fine del telegiornale TF1, domenica 16 giugno, tra lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e le anticipate elezioni legislative: dieci minuti di intervista lontana da ogni polemica, con una di quelle celebrità che nessuno riesce davvero a l’odio – una merce diventata rara.

Con una carriera quarantennale, Céline Dion è sicuramente una grande professionista della comunicazione oltre che una cantante di talento che ha venduto circa 230 milioni di dischi in tutto il mondo. E questa sequenza “esclusiva”, ampiamente promossa dal primo canale prima e dopo la sua messa in onda, rientrava sicuramente in un piano di lancio ben orchestrato per l’uscita, il 25 giugno, del documentario Io sono: Céline Dionsulla piattaforma Prime Video.

Tuttavia, la 56enne canadese trasuda ancora quel tipo di candore in cui vogliamo credere, una forma di benevolenza di prim’ordine dalla quale non si è mai allontanata. Questo piccolo lato banale della pralina è ben illustrato in Alineil film biografico dedicatogli da Valérie Lemercier nel 2021, che si è rivelato toccante nella sua coerenza, e particolarmente gradito in un periodo dominato da invettive e finzioni.

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Soprattutto perché il cantante è venuto proprio a far valere il “sincerità” e la fine di ” bugie “ quanto al suo stato di salute, due anni dopo aver rivelato di soffrire della sindrome della persona rigida, una rara malattia neurologica di cui non si conosce la cura, che provoca dolore acuto e spasmi. Dopo aver nascosto il volto per quasi vent’anni, dopo anni di peregrinazioni mediche, Céline Dion vuole confessare tutto. Le sedute del medico, il dolore, i lineamenti tirati, la frustrazione… Ci viene promesso un documentario autentico al 100%, diretto da una regista di successo, l’americana Irene Taylor, già nominata agli Emmy e agli Oscar, che afferma di aver avuto carta bianca per filmare la star.

Sguardo empatico

Soprattutto, e questo è abbastanza raro da sottolinearlo, la cantante parla apertamente dei pericoli dell’automedicazione e della dipendenza dagli antidolorifici, con i quali ha flirtato, assumendo talvolta fino a 90 milligrammi di Valium, un ansiolitico, per durare fino alla fine. di uno spettacolo, o sei volte la dose giornaliera comunemente raccomandata. Una spirale nella quale sono caduti tanti cantanti-performer, da Elvis Presley a Michael Jackson. “Non soffrire da solo, parla con i tuoi vicini, i tuoi amici, consulta…”, ci incita davanti alla telecamera, con quello sguardo empatico che conosciamo così bene. Forse non siamo sensibili alla musica di Céline Dion, ma è difficile non riconoscere un certo coraggio nel suo approccio e un’umiltà nelle sue parole, quando spiega che dovrà reimparare a cantare con la voce danneggiata dalla malattia.

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