Una grossa rapa assoluta, e nemmeno gradevole: sto parlando Gladiatore IIfirmato Ridley Scott, 86 anni, che torna in grande difficoltà quasi venticinque anni dopo la prima opera, che già non era né narrativa né cinematografica, ma che restava un buon prodotto nel peplum della storia contemporanea. Ridley Scott, di cui tendevo a difendere gli ultimi film, L'ultimo duello o anche qualche motivo qua e là Napoleonema che, credo si possa dire, ha davvero mollato la rampa.
Quindi qui dovrò raccontare la storia, e mi troverò in un sacco di guai perché è estremamente semplice e inutilmente confusa: siamo in un'antica Roma completamente fantasticata, l'Impero è guidato da un quadruplo pugno di ferro di Caracalla e Geta, due gemelli completamente degenerati, che vogliono conquistare il mondo intero, e per farlo si affidano al loro capo generale, Acacio, che è un po' pigro. L'esercito si avvicina alla costa africana dove l'eroe Annone, grossi muscoli e occhi azzurri, giovane generale dalle origini misteriose, cerca di difendere la sua città dal giogo romano. Muore la moglie, viene fatto prigioniero e subito individuato dal capo dei gladiatori di Roma, mentre squarcia con i denti la trachea di una specie di scimmia mutante in un'arena dove viene messo alla prova. Ovviamente Annone ha una sola idea in mente, ovvero vendicare la moglie, che continua a vedere in visioni in bianco e nero di assoluta bruttezza, e per farlo affrontare il generale Acacio, ma problema: il generale in questione è il marito di la figlia di Marco Aurelio, che assomiglia alla madre di Annone…
La semplice traiettoria, che era quella di Gladiatore – questa serie di combattimenti nell'arena sempre più pericolosi, sempre più cruciali per l'eroe, è più o meno quella di Gladiatore IIma con nel mezzo scene pseudo-shakespeariane di profonda noia, che danno vita a una tragedia familiare altrimenti assolutamente incoerente.
Aberrazioni visive: squali
Questa incoerenza della storia governa tutto, compreso ciò che ne costituisce il sale Gladiatorediciamocelo e basta: violenza. A Ridley Scott non importa niente della coerenza storica: ce l'ha già fatto Napoleonema qui ha conseguenze ben più evidenti nell'immagine: tutte le inquadrature sono aberrazioni visive con anacronismi nemmeno realmente ipotizzati: riconosciamo chiaramente il Colosseo, le gonne e due o tre vesti senatoriali, ma in mezzo ci sono squali, parrucche 17ᵉ, sifilide 19ᵉ, tecnologie che aprono caverne segrete come in Batman. In mezzo a questo gran caos che non è nemmeno barocco – sarebbe dargli stile – gli attori non sanno così tanto cosa interpretare che interpretano solo se stessi: Paul Mescal, il nuovo beniamino di Hollywood, è molto carino, Pedro Pascal agisce come al solito con integrità. Palm si rivolge a Denzel Washington a ruota libera, e le cui magnifiche toghe dorate faticano a farci dimenticare che lui è solo Denzel Washington nella sua versione di brio mafioso, che potrebbe facilmente essere un poliziotto a Chicago o un sicario a New York – quello sarebbe lo stesso.
Inoltre, quando circolano cose del genere, grossolane e grossolane, è molto difficile individuare qualche discorso su qualcosa – forse si dice qualcosa sulla decadenza dell'America o dell'Occidente, o anche chissà, “Hollywood e la nostra società dell'intrattenimento, o della mascolinità, come leggo qua e là da colleghi che cercano di trovare cose da dire – ma quello che è deliquescente onestamente è soprattutto il cinema di Ridley Scott, che ci consegna un film doloroso, ripetitivo, incoerente, un po' triste, insomma un film che definirei senile.